Un vento di crisi che non scompone le mafie

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piero-grasso-2Che le organizzazioni malavitose avessero messo mano su molti settori nevralgici dell’economia italiana era cosa nota. Che l’arresto dei super latitanti non avesse scalfito la capacità d’azione della mafia era chiaro a molti, ma non a tutti. Un quadro allarmante che preoccupa e che assume contorni più definiti se si aggiunge all’analisi la capacità delle mafie di accumulare ricchezza. L’occasione ci viene concessa dalla relazione letta in Parlamento agli inizi di Febbraio da Pietro Grasso, Procuratore nazionale antimafia. Cosa nostra, ‘ndrangheta, Sacra corona unita e camorra godono di ottima salute e le loro casse sono più che mai floride. Queste organizzazioni, secondo il rapporto della Dna, sono capaci di controllare 1/3 del territorio italiano, fatturando più di qualsiasi potentato economico presente nello scacchiere italiano. Le stime parlano di 130 miliardi di euro. Una mole di denaro sottratto alla collettività con i metodi più disparati, che mettono ancor più in luce la necessità di contrastare la malavita su ogni fronte. Per inquadrare questo strapotere economico, che si traduce in una capacità di controllo capillare del territorio, si tenga in considerazione lo stanziamento annuale dello Stato italiano in occasione della Finanziara. La manovra economica si aggira attorno ai 15miliardi di euro e serve a programmare gli interventi per un intero anno. Ciò che viene illegalmente guadagnato in un solo anno potrebbe servire per governare la finanza pubblica per un decennio!
I canali utilizzati dal malaffare sono diversi: estorsione, riciclaggio, narcotraffico, edilizia e appalti pubblici. Ma a queste categorie, definibili come cavalli di battaglia della mafia, si aggiunge una nuova strada: quella della partecipazione con denaro sporco al capitale sociale di aziende all’apparenza pulite. Nuovi e vecchi metodi che hanno come effetto diretto la deregolamentazione del mercato, alterato in modo deciso dall’intervento della mafia s.p.a. Un costo pagato da tutti e in qualsiasi Regione d’Italia. Non c’è zona dello stivale che può ritenersi immune dall’infiltrazione della criminalità organizzata. Non a caso, proprio a Torino, si sta celebrando un processo per 416 bis nei confronti di esponenti della ‘ndrangheta. L’unico in Piemonte, che ripropone vecchi e nuovi nomi di ‘ndranghetisti, come Crea e Belfiore, dimenticati per decenni dalle cronache. Queste famiglie, agevolate dall’indifferenza, hanno continuato a delinquere. Un mancanza d’attenzione che si ripresenta anche oggi, nonostante siano a processo. Non c’è organo d’informazione, ad eccezione di Narcomafie ( e Acmos come movimento), presente alle udienze. Sembra fantascienza, ma vi assicuro che è la realtà dei fatti.


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