Per il clan dei nigeriani a Torino 400 anni di detenzione

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Setta, clan o ‘ndrina. Italiani o nigeriani. A Torino non c’è differenza; simili organizzazioni in città valgono pene con l’aggravante del 416 bis. Da anni la criminalità nigeriana ha trovato nel capoluogo piemontese una base operativa, riuscendo a radicarsi nella comunità africana e gestire all’interno di essa svariate attività illecite. L’esistenza di una vera e propria organizzazione criminale di stampo mafioso ha trovato conferma giudiziaria poche settimane fa. A emettere la condanna nei confronti di 36 imputati, appartenenti ai clan dei Black Axe e degli Eiye, il tribunale torinese. Pene che vanno da un minimo di 4 anni ad un massimo di 14, per un totale di 400 anni di detenzione.


La guerra tra clan Gli Eiye e i Black Axe cercano di spartirsi gli affari della comunità nigeriana a Torino, ma vanno in rotta di collisione. Ne nasce una vera e propria guerra tra le sette che, sin dal 2003, si affrontano per le strade della città con coltelli, colli di bottiglia ma anche maceti e asce. La posta in ballo è allettante e remunerativa: controllare la comunità nigeriana all’ombra della Mole. Il predominio viene ottenuto – come si legge nell’ordinanza emessa dal Tribunale Torinese, che imputa al sodalizio criminale l’aggravante dell’associazione mafiosa – attraverso “la forza di intimidazione del vincolo associativo, nonché della condizione di assoggettamento e di omertà …..che si sostanziava nell’osservanza delle rigorose regole interne, di rispetto ed obbedienza alle direttive dei vertici con previsione di sanzioni anche corporali in caso di inosservanza”. Ma il controllo è anche un business per gli Eiye e i Black Axe. Gli associati, infatti erano tenuti a versare “ somme di denaro prestabilite per le finalità del gruppo locale e per le finalità della “casa madre” nigeriana”.


Dallo spaccio allo sfruttamento della prostituzione L’associazione criminale era in grado di gestire una vasta gamma di attività illecite. Dallo spaccio di cocaina allo sfruttamento della prostituzione, dalla frode telematica alla truffa.

Ma tra tutte le azioni criminali imputate al sodalizio nigeriano, una colpisce per la capacità della comunità nigeriana di mettere in atto delle vere e proprie truffe. Nel febbraio 2004, due cittadini nigeriani propongono ad un italiano un bizzarro metodo per far soldi facili e immediati: la moltiplicazione delle banconote tramite un procedimento chimico. L’uomo, convinto dai promotori dell’affare, consegna loro la bellezza di 126 mila euro. Denaro che il cittadino italiano non vedrà più. Una somma che i nigeriani hanno prontamente riciclato, per ostacolare l’identificazione della provenienza del denaro, nell’acquisto di auto di lusso come Mercedes e Jaguar.


Il controllo per mezzo della violenza A leggere le carte processuali, il sistema criminale dei nigeriani radicati a Torino  stupisce per l’estrema violenza messa in atto. Le strade torinesi sono state teatro per anni di ferimenti, sparatorie, pestaggi di gruppo, tentati omicidi, vere e proprie punizioni corporali contro chi si opponeva al sistema delle bande. Il controllo del territorio, la gestione della comunità nigeriana, l’assoggettamento sono state costruite grazie alla paura. Perché a Torino, all’interno della comunità nigeriana, chi non voleva sottostare al controllo delle bande doveva essere punito, come monito per tutti. Diversi i casi di pestaggi, percosse, minacce, punizioni corporali tramite ustioni procurate da ferri da stiro roventi, bottiglie rotte, coltelli, scimitarre, sciabole, asce. Non manca poi il rituale nella punizione, con usanze nigeriane esportate a Torino. Opporsi al dominio degli Eiye e dei Black Axe o non rispettare le loro regole poteva costare delle frustate per mezzo di uno strumento africano detto “Kobu-Kobu”.

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