Ndrangheta always on the move sotto la Mole

Condividi


TORINO “Nel 2010 a Torino sono stati sequestrati all’ndrangheta per 30 milioni di euro”. Così recita il lancio stampa di fine anno della Direzione Investigativa Antimafia di Torino. I numeri spesso non parlano da soli, ma per “farli parlare” bisogna provare ad accostarli ai nomi.


Uno dei nomi principali di questa storia è quello della famiglia Marando di Volpiano. I due terzi dell’intero patrimonio sequestrato nell’anno passato apparteneva a loro. Domenico Marando, condannato a trent’anni per l’omicidio di tre persone in una vendetta tra cosche nel 1997, si trovava nel carcere di Rebibbia dal 1998. Dalla sua cella però continuava gestire gli affari della cosca attraverso un’educatrice del carcere Maria Tassone, originaria di Vibo Valentia. I soldi provenienti dai traffici illeciti della famiglia Marando venivano reinvestiti in tutta Italia in beni immobili e quote azionarie. Imprese come la “Piramide Costruzioni Srl”, costituita nel 2002 a capitale zero e diventata in breve tempo proprietaria di immobili nelle province di Como e Varese e a Siderno; il ristorante “Parco degli Ulivi” ad Amelia nel Lazio riscattato tramite un imprenditore che non poteva saldare il debito con i suoi strozzini; la ditta di movimento terra di Corsico; la “Green Farm” di Torino creata nel 1982 ed intestata a diversi prestanome tra cui padre Mario Loi, reso famoso dal suo soprannome “Padre Rambo” e per l’inchiesta che lo aveva coinvolto con l’accusa di distrazione di fondi europei; infine un bar a San Mauro Torinese intestato dal figlio di Domenico, il ventiduenne Antonio Marando.
I numeri uniti ai nomi e ai luoghi aiutano così ad immaginare la rete di affari gestita dalla famiglia non solo in Piemonte e in Calabria, ma in tutta Italia.


Da dove provengono i restanti dieci milioni sequestrati dalla Dia nell’anno passato?
Citando le parole del capo della Dia di Torino Gian Antonio Tore, il sequestro di beni, ville, box auto e terreni avvenuto ha colpito “un gruppo di soggetti contigui all’ndrangheta”. Ilario D’Agostino, 47 anni di Placanica, insieme al nipote Francesco Cardillo, 44 anni originario di Caulonia, avrebbero riciclato nell’economia pulita i soldi provenienti dalla tasche del narcotrafficante Antonio Spagnolo, della cosca dei Ciminà di Caulonia. Nel 2010 sono stati così sequestrati una villa a Legnano, tre garage nel centro di Torino oltre alla “Italia Costruzioni srl” con sede legale a Rivoli e sede operativa a Orbassano, intestata a Cardillo. Una ditta che negli anni si era distinta per la realizzazione di alcuni grandi progetti delle Olimpiadi invernali del 2006 come la ristrutturazione del Palavela, la costruzione del Palahockey e il Villaggio Media nella zona degli ex mercati generali e la costruzione del porto di Imperia.
Cardillo e D’Agostino erano già stati coinvolti nell’operazione “Pioneer” che nell’ottobre 2009 aveva portato al provvedimento di custodia cautelare nei confronti dei due e al sequestro dell’agenzia immoboliare “Ediltava”. Costituita nel 1995, secondo gli inquirenti il network di imprese “Ediltava” rappresentava la “cassaforte immobiliare” dei soldi provenienti dai traffici di droga di Antonio Spagnolo della cosca dei Ciminà. La droga innanzitutto e come passo successivo un professionista dell’investimento al di fuori di ogni sospetto: Giuseppe Pontoriero che nel 2005, in seguito all’arresto per traffico di stupefacenti di D’agostino e Cardillo nel 1999, compra la proprietà aziendale della ditta con soli trentamila euro a fronte di un valore stimato in oltre 4 milioni di euro.
All’indomani dei sequestri, mentre prosegue l’attività investigativa, inizia la stagione dei processi. L’attenzione dunque rimane puntata sul capo di imputazione contro D’Agostino.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *