Con la corruzione il rischio avvitamento

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La stima non è cambiata, semplicemente è stata ribadita e, se possibile, precisata.
In Italia, il costo annuo della corruzione è di 60 miliardi circa. La cifra che in questi giorni ha attratto i quotidiani è quella dei 300 milioni annui (293,632 nel 2012) che vanno in sprechi, truffe e frodi. Si tratta di spese pubbliche inutili: ponti scivolosi (Venezia); bonifiche e stoccaggio rifiuti mai avvenute (Litorale Domizio Flegreo e Agro Aversano); gestione del personale errata (Firenze); musei pagati e mai realizzati (Trieste); parcheggi sotto sequestro perché costruiti in aree con vincolo storico (Genova); barche comprate ma rimaste in porto perchè senza marinai (Sardegna); merendine destinate agli alunni intascate dal maestro (Marche).
Tutti casi denunciati dalla Corte dei Conti nel rapporto annuale illustrato in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario lo scorso 5 febbraio.
Dunque non è solo la corruzione il problema. Eppure, ciò che spaventa sono le parole usate da Luigi Giampaolino, presidente della Corte dei Conti, per descrivere la situazione reale: “la natura sistemica” della corruzione “che si annida in tutte le pieghe della pubblica amministrazione” contribuisce a “pregiudicare l’economia della nazione”. Precisando che il carico fiscale “fuori linea” genera le “condizioni per ulteriori effetti recessivi”, creando il “pericolo di un avvitamento” dell’economia del Paese.Insomma, le manovre correttive del disavanzo, adottate fin qui per riequilibrare i conti pubblici, rischiano di appesantire gli italiani tanto da generare, come mezzi per sfuggire a tale peso, nuove misure corruttive, nuove evasioni fiscali e sempre più ingegnose frodi.

Un altro è invece il numero che è utile guardare dopo aver letto fin qui. Sono più di 110.000 gli italiani che, a un mese dal lancio, hanno aderito alla campagna “Riparte il futuro”. Una campagna ideata da Libera e dal Gruppo Abele per contrastare la corruzione. Una campagna che raccoglie l’impegno dei cittadini che vogliono metterci la faccia e fa informazione, oltre che cultura, sulla corruzione e sui metodi per prevenirla. Una campagna voluta proprio in periodo elettorale, che si rivolge in particolar modo ai candidati alle prossime elezioni. Questi sono chiamati ad aderire assumendosi cinque impegni improntati a trasparenza, integrità e responsabilità. Dovranno mettere in rete il curriculum vitae, la condizione reddituale e patrimoniale, l’eventuale presenza di conflitti d’interesse, la propria situazione giudiziaria. E accettare l’incarico di riformare, nei primi 100 giorni della nuova legislatura, l’art. 416 ter del Codice Penale, ossia il voto di scambio tra potere politico e mafioso.
Serve ribadirlo, il problema è serio: la percezione della corruzione italiana è tale che l’indice di Transparency International colloca il nostro Paese al 69° posto.
Le adesioni dei candidati non mancano. Quelli “trasparenti” (che hanno inviato ai gestori della campagna almeno il curriculum vitae) sono 597. Altri 236 sono in via di adesione (stanno mandando la propria documentazione). Di questi, usando i calcoli di Gian Antonio Stella (Corriere della Sera, 8 febbraio 2013), “molti sono del Pd (il 32%), di Sel (26%), del Movimento 5 Stelle (16%). Seguono quelli di Rivoluzione civile (8,7%) di Antonio Ingroia, di Fare per fermare il declino (5%) di Oscar Giannino, di Scelta civica (4,7%) che stanno con Mario Monti, di Futuro e libertà (2,5%) e giù a scendere”.
Manca una decina di giorni alle elezioni.

Ci piace pensare che sia solo questione di tempo a che le fila dei candidati “trasparenti” si ingrossino ulteriormente e si equilibrino negli schieramenti. Sicuramente non è più una questione di merendine.

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