Qualche settimana fa, politici e istituzioni piemontesi si erano levati in coro quasi all’unisono per difendere la regione dalle indagini rivelate dalla commissione parlamentare antimafia: "Ci sentiamo offesi, non siamo mafiosi".
La stessa unanimità con cui il consiglio regionale aveva approvato la legge regionale n. 14, ma evidentemente mossa da due sensibilità diverse.
Per fortuna la squadra mobile continua a fare il suo mestiere, in silenzio, ma con efficacia.
La scorsa settimana è giunta al termine un’operazione nata nel lontano 2001: dall’omicidio di Vincenzo Casucci, gestore di un night in Barriera di Milano, fino a Renato Macrì, proprietario e gestore di un paio di locali, che ha subito due attentati dinamitardi nel 2007.
Dietro a tutto, il clan dei calabresi: 6 arrestati, 115 denunciati, 5 bische sequestrate.
L’indagine denominata "Gioco Duro" ha rivelato come la ‘ndrangheta controllasse il gioco d’azzardo a Torino e ne ricavasse decine di migliaia di euro.
Tra gli arrestati, troviamo nomi di spicco: Giuseppe Befiore, fratello di Domenico in carcere per l’omicidio del procuratore Caccia, ed i fratelli Crea, sfuggiti alla faida calabrese proprio nei primi anni del nuovi millennio.
Il pm Maurizio Laudi, alla sua ultima apparizione come procuratore aggiunto di Torino, ha sottolineato come il gioco d’azzardo sia una lucrosa forma di finanziamento per la criminalità organizzata, con meno rischi di natura penale rispetto al narcotraffico.
L’aspetto più grave è quello relativo alla clientela di questi "tavoli da gioco": tra i dadi e le carte da poker si sfidavano incensurati, commercianti, ristoratori, ma anche muratori e pensionati; gente comune, insomma, alle prese con la crisi economica che attanaglia le famiglie italiane. Sono stati tutti denunciati.
Da qui occorre ripartire. E’ la società stessa che non riconosce che, con le proprie azioni, avvalla l’operato dei clan. Per questo, istituzioni e politica debbono lavorare al fianco di quella che ormai tutti siamo avvezzi a chiamare "società responsabile".
Com’era quel detto? "Conoscere la realtà per trasformarla". Ecco, appunto.
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