Non so se Roberto, Sara, Isabella e Andrea l’abbiano fatto di proposito.
Non so se abbiano creato apposta le situazioni di inizio e di fine campo: tutti in cerchio, tutti seduti pronti a condividere le prime e le ultime impressioni, informazioni, opinioni.
Sia il 4 che il 12luglio tutti eravamo riuniti sullo stesso piano, nella medesima situazione. Solo una grande differenza: in mezzo a noi il fuoco che arde alla fine come non ardeva all’inizio. Questo mi sembra il vero e profondo significato del campo E!state Liberi a Cascina Caccia.
Quel fuoco ardente che Arianna, Costanza e Lucia, indispensabile componente scout del gruppo, hanno acceso, ma che tutti noi, educatori e ragazzi, abbiamo appiccato. Isabella, Roberto, Sara e Andrea hanno fornito la legna grazie alla forza del loro esempio, della loro tenacia e della loro coerenza. Hanno fornito i ceppi più grandi e solidi con la loro vita semplice, ma coraggiosa, normale, ma rivoluzionaria in un paese come l’Italia in questi anni, in cui la lotta per la legalità sembra sia diventata la guerra di una minoranza. Una terra maltrattata, sfregiata dalla violenza dei mafiosi che hanno distrutto la cascina e inondato di rifiuti i campi prima di abbandonarla, viene riportata in vita dal lavoro di questi quattro ragazzi, dalle api, dai noccioli, dall’orto.
Questa è la legna, la base su cui si costruisce. Ma loro sapevano che non sarebbe bastato e quindi hanno aggiunto anche dei legnetti piccoli che prendono fuoco facilmente, del fieno e dell’erba secca a fare da combustibile: lo spettacolo di Giulio Cavalli, allora, che ha colpito e scosso ognuno di noi, tanto da scegliere una sua frase “Accendere la luce” come nome del gruppo su facebook dove mantenere i contatti, per le notizie e le storie riportate, per la passione e il coraggio dell’artista. E quei momenti di formazione in cui hanno raccontato storie di mafia, fatti, testimonianze, nomi (mi sento di citarne uno in particolare: Rita Atria e la sua tragedia. Storia di una ribellione talmente difficile da non essere sopportata; storia di solitudine e di isolamento; storia di uno Stato che lascia soli i cittadini onesti, i testimoni di giustizia; storia di uno Stato che forse proprio per questo fatica a ricordare; storia che ha colpito profondamente ognuno di noi); momenti in cui hanno spiegato il rapporto tra mafia e politica, indispensabile architrave del successo mafioso.
E proprio in uno di questi spazi ho capito che un’Italia diversa può nascere, grazie ai giovani. Questo bel momento è avvenuto nel corso delle due ore di formazione del primo giorno, quando si è parlato di Giulio Andreotti, sette volte Presidente de Consiglio e senatore a vita. Ignazio e Isabella hanno spiegato che il suddetto senatore è stato riconosciuto colpevole per mafia fino al 1980, ma che la prescrizione aveva evitato l’applicazione della condanna. Solo un ragazzo era a conoscenza di questo fatto e così sconcerto e incredulità si sono sparsi. Un mormorio è serpeggiato tra le nostre file; e Marta incredula chiedeva sbalordita:”Ma come è possibile? E’stato riconosciuto mafioso ed è ancora lì? E nessuno si è scandalizzato?”; e Lucia che mormorava: ”Incredibile …”; e Matteo che si agitava sulla sedia; e tutti che si scambiavano occhiate scandalizzate. Ho visto, in quel momento, l’indignazione e la rabbia che nel nostro Paese anche questo possa accadere. Ho visto che i giovani non sono totalmente assuefatti agli scandali che si scoprono quasi ogni giorno. Questa sana e fondamentale capacità di indignarsi, base di una democrazia in cui il cittadino deve essere vigile e controllore, deve essere difesa con tutte le nostre forze.
Dobbiamo fare in modo che la rabbia, la voglia di protestare alberghi in noi il più a lungo possibile: anche a sessanta, settant’anni , dopo tutto quello che avremo visto e vissuto, deve rimanere l’indignazione dinanzi agli scandali, ancora propria, per fortuna, dei giovani e di una stretta cerchia di adulti. Ed infine l’ultima componente necessaria era la scintilla.
E siamo stati noi, i 22 ragazzi tra i quindici e i diciassette anni provenienti da tutt’Italia, a farla scoccare. L’abbiamo creata con la nostra voglia di ascoltare; con la capacità di aprirci, di esprimerci, di accettare consigli ed informazioni; con la disponibilità ad esporci in prima persona e a metterci in gioco; con l’intelligenza di essere disposti a farci cambiare dagli incontri, da ciò che si impara, dalle esperienze; con l’entusiasmo di lavorare gratuitamente per la collettività; con la consapevolezza di mandare un messaggio chiaro di impegno civile. Abbiamo evitato di essere come “chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli si chiede qualcosa che conosce”(Pablo Neruda). Tutti questi elementi, quindi, hanno creato la scintilla che ha incendiato il legno messoci a disposizione da Isa, Robbi, Andre e Sara. E così se la prima sera non c’era niente in mezzo al nostro cerchio, dieci giorni dopo c’era il fuoco. Il fuoco che significa e che ricorda a tutti noi le parole di gratitudine, di speranza, di impegno, di ringraziamento, di futuro sgorgate da noi in quell’ultima sera. Siamo cresciuti in quei dieci giorni: siamo entrati nel campo da ragazzi, ne siamo usciti da giovani cittadini più consapevoli, più informati, più vogliosi di impegnarsi concretamente.
Ed è questo che faremo già da settembre quando ci incontreremo di nuovo per organizzarle liste per i Consigli d’Istituto dell’anno prossimo (con lo scopo di informare i nostri compagni meno interessati all’attualità e di portare la lotta alle mafie nella quotidianità di tutti i giorni scolastici parlandone e discutendone), per creare presidi di Libera, per partecipare alle iniziative proposte con un appuntamento già fissato per il 21 marzo.
Sappiamo che ci saranno periodi bui e difficili, ma, come ha affermato Roberto l’ultima sera, dovremo ricordare anche, e soprattutto, in quei momenti le parole dette, le emozioni provate, l’impegno, la missione, gli ideali comuni e il cerchio intorno al falò. Perché, nonostante nel corso della notte il fuoco si sia spento, noi sappiamo che simbolicamente ed idealmente, in ognuno di noi, quella fiamma è e sarà sempre accesa.
Andrea Giagnorio