“GENTILI SIGNORI, COMINCIA LA RIVOLUZIONE”

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da Sidi Bouziz: D. Mattiello, D. Ziveri, C. Nasi

 

Lasciata l’autostrada della costa che porta ad Hamammet, siepi di fichi d’india e filari d’olivi, dal finestrino un paesaggio andaluso, entriamo nel governatorato di Sidi Bouziz. Si avverte sulla pelle la rivoluzione, saranno le immagini, ora in 3D, del mercato e del palazzo del governo dove tutto è cominciato.

Mohammed ha 28 anni, ma si sente responsabile per la madre e i fratelli minori. Nonostante gli studi, lavora come venditore abusivo di frutta con il suo carretto davanti al palazzo del governatore. Le storie su quello che successe in quei fatidici momenti sono tante. Una poliziotta forse lo schiaffeggia. Di certo gli confiscano la merce. Prova a richiedere udienza, inutilmente. Esasperato si cosparge di diluente infiammabile e si da fuoco in mezzo alla strada. Morirà poco tempo dopo. La gente spontaneamente si raduna sul luogo dell’accaduto. I giovani incollano i propri diplomi, considerati inutili, al muro di cinta.

Mohammed abitava ad Ainur, uno dei quartieri più poveri di questa cittadina di provincia che conta circa 50mila abitanti, per lo più immigrati dalle campagne circostanti. Le strade strette che lo attraversano hanno ospitato le barricate da dove l’intera popolazione ha resistito giorni e giorni contro la polizia. Si arrivò a uno scontro a somma zero: o noi o loro. A quel punto la ritorsione del regime sarebbe stata impietosa. I giovani della provincia si mettono in contatto con i parenti commercianti che stanno nei quartieri della periferia della capitale, le immagini si diffondono. Alcuni gruppi di ragazzi scendono in questi quartieri provocando disordini, per cercare di portare anche Tunisi alla sollevazione popolare. A questo incerto punto un cortocircuito genera l’imprevedibile: i reparti dell’antiterrorismo occupano l’aeroporto civile e Ben Alì, che accompagna la famiglia all’elicottero militare che la porterà in esilio, decide inaspettatamente di andarsene. Cosa sarebbe accaduto se fosse rimasto nessuno lo sa. Ne si capisce davvero cosa lo abbia spinto a fuggire, evitando forse ciò che oggi sta accadendo in Siria.

Invece proprio dalle campagne della steppa tunisina è scoppiata la rivoluzione. Un gesto estremo, disperato, profondamente nonviolento. Dopo aver incarnato, come tanti altri suoi coetanei, le contraddizioni e i limiti di questo paese, ha preso sulle proprie spalle le assurdità della burocrazia, l’arroganza del potere, l’ingiustizia della corruzione, l’offesa della povertà, le illusioni frustrate.

Intorno al quartiere di Ainur si è costruita, dopo la rivoluzione, una strada. Dove porterà lo sapremo forse dopo le elezioni.