Osservazioni sul ddl anti-corruzione

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a cura del presidio Cassarà per l’Osservatorio di Libera

Il 13 giugno si è votato alla Camera (ora è tornato al Senato) il ddl corruzione e siccome non si è riusciti a trovare un accordo, il Governo ha dovuto chiedere la fiducia su tre articoli che hanno introdotto: l’incandidabilità dei condannati; il traffico di influenze e la corruzione tra privati.

Quindi nessun condannato in via definitiva potrà entrare in Parlamento o avere incarichi di governo per i reati gravi come mafia e terrorismo e per quelli contro la Pubblica Amministrazione o coloro che hanno subito condanne sempre in via definitiva per tutti gli altri reati per i quali sono previste pene superiori nel massimo a tre anni.

Il traffico di influenze illecite consiste nella corruzione realizzata con favori e regali invece che con la classica tangente.

Infine con le nuove norme viene introdotto il reato di corruzione tra privati. O almeno questo è quello che ci è stato detto dal nostro Legislatore.

Il ddl introduce una riforma dell’art. 2635 cc e non un nuovo reato. Esso prevede che “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per se´ o per altri, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla società, sono puniti”.

Viene modificata la rubrica: da “Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità” a “Corruzione tra privati”. Viene aggiunta la “promessa di denaro” a quella di utilità, le locuzioni “per sé o per altri” e “degli obblighi di fedeltà”. Inoltre è stata introdotta la punibilità da chi è sottoposto ai soggetti indicati nel primo comma ed è stata inasprita la sanzione.

Per la sussistenza del reato, pertanto, si richiede il ricorso di un duplice nesso di causalità: la dazione o la promessa deve aver causato il compimento o l’omissione dell’atto, e successivamente occorre che da tale comportamento sia derivato un danno (e non solo un pericolo) in capo alla società1. Mentre la Convenzione di Strasburgo del 1999 prevede “affinché compia o si astenga dal compiere un atto in violazione dei suoi doveri”.

Osserva il magistrato Ciro Santoriello: “L’aver circoscritto – nell’art. 2635 cc – la consumazione del delitto all’effettiva verificazione di un nocumento alla persona giuridica costituisce la principale differenza fra la fattispecie in commento ed il reato di corruzione avverso la Pubblica Amministrazione”.

I soggetti indicati nell’articolo 2635 cc sono: gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori e chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno di questi soggetti. Mentre la Convenzione di Strasburgo indica:“una qualsiasi persona che dirige un ente privato o che vi lavora”.

Per le ragioni sin qui esposte possiamo affermare che con l’attuale ddl sulla corruzione in esame al Senato non è stato introdotto il reato di corruzione tra privati come indicato nella Convenzione di Strasburgo.

Un altro aspetto rilevante su cui vogliamo soffermarci – e che nel ddl è assente – è quello che riguarda il rapporto che c’è tra il reato di corruzione, la confisca e il riutilizzo sociale dei beni.

La legge numero 300 del 2000 ha introdotto nel codice penale l’art. 322 ter, che prevede, in adempimento alle convenzioni internazionali, la confisca obbligatoria del prezzo e del profitto di reato in caso di condanna o applicazione di pena per una serie di reati tra i quali la corruzione, ed ha introdotto anche la confisca c.d. per equivalente. I proventi della corruzione, pertanto, possano essere confiscati, ma non si è previsto il riutilizzo sociale degli stessi.

La legge 109/1996 prevedeva nella sua formulazione originaria il riutilizzo sociale dei beni confiscati ai corrotti e ai mafiosi perché in entrambi i casi essi sono acquistati con denaro sottratto alla collettività e pertanto alla stessa devono essere restituiti, però si è poi deciso di togliere i primi dalla previsione.

Libera e Avviso Pubblico hanno promosso la campagna “Corrotti per il bene comune restituiscano ciò che hanno rubato”, per chiedere che venga resa operativa la norma che prevede la confisca e il riutilizzo sociale dei patrimoni sottratti dai corrotti al bene comune adeguando il nostro codice alle leggi internazionali anti-corruzione, a partire da quelle stabilite dalla Convenzione di Strasburgo del 1999.

Quest’ultima nel preambolo recita: “la corruzione rappresenta una minaccia per lo Stato di diritto, la democrazia e i diritti dell’uomo, mina i principi di buon governo, di equità e di giustizia sociale, falsa la concorrenza, ostacola lo sviluppo economico e mette in pericolo la stabilità delle istituzioni democratiche e i fondamenti morali della società”.

Servirebbe recepire questa Convenzione in maniera esatta senza dover adeguare la normativa interna alle pretese dei partiti per rispettare la nostra Democrazia e i principi suindicati.

Nel frattempo dobbiamo perseguire una cultura contro la corruzione perchè come ha affermato don Luigi Ciotti: “è la cultura che dà la sveglia alle coscienze, abbiamo bisogno di cultura e di una dimensione etica. L’etica incomincia dai nostri comportamenti”.

1 Militello, “Infedeltà patrimoniale e corruzione nel futuro diritto penale societario“, in “Riv. Trim. Dir. Pen. Ec.”, 2000, 907; Foffani, “Infedeltà patrimoniale e conflitto di interessi nella gestione di impresa“, Milano, 1997, 582 e ss.