Le mani sulla città

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Dalla memoria all’impegno. Dai nomi ricordati sul lungomare napoletano al lavoro quotidiano nelle scuole e sui beni confiscati piemontesi.
Il 21 marzo ci lascia l’eredità di continuare il cammino nei nostri territori, cercando di tenere alta la guardia verso quei fenomeni di illegalità che avvengono in Piemonte.
E non sono pochi i fatti che avvengono all’ombra della mole. È difficile scovarli perchè i media locali tendono a lasciarli nell’angolo.
La realtà che si cela dietro a questo velo di maya è alquanto ben differente da quanto ci mostrano.
Da alcuni mesi, infatti, si sta svolgendo un processo per 416 bis, associazione per delinquere di stampo mafioso nel più totale disinteresse dei media locali.
Nessun giornalista in aula, ma solamente gli imputati dietro le sbarre: i fratelli Aldo Cosimo e Adolfo Crea e Giuseppe Belfiore.
Gestivano le bische clandestine in Borgo San Paolo e in Barriera di Milano. Nessuno poteva aprire un circolo senza il loro consenso. Ed è proprio quest’ultimo elemento, l’intimidazione sul territorio, che ha permesso agli inquirenti di inserire il 416 bis tra i capi d’accusa.
Gente discreta i Crea e il Belfiore: raramente si fanno vedere nei luoghi dove si gioca. Affidano la gestione dei locali a persone fidate che amministrano le ingenti somme che vengono giocate sui tavoli.
Il giro di soldi è altissimo. Ogni sala incassava sessantamila euro al mese. Un guadagno facile e senza rischi, dato che le conseguenze penali sono quasi irrisorie.
Intorno a questo scenario, regna un clima di omertà e minacce.

Testimoni spaventati che in aula non ricordano, non sanno oppure ritrattano in toto le dichiarazioni rilasciate qualche mese prima davanti ai carabinieri.
Come un giocatore assiduo di piazza Rebaudengo. In sede d’indagine aveva riferito numerosi dettagli sul modo di gestione delle bische e sugli accordi relativi agli orari d’apertura.
Ma in aula ha ritrattato tutto, negando di aver detto alcunché e affermando di non ricordare nulla.

Un silenzio che parla più di mille parole tant’è che il giudice ha acquisito le dichiarazioni rese dall’uomo alla Polizia con la motivazione di “possibili intimidazioni subite dal teste”.
Nel frattempo, il processo si sta avviando verso la sua conclusione in primo grado nel più totale disinteresse generale.

Ma a mantenere la luce, continuerà ad esserci Libera insieme agli amici di Narcomafie che proprio in uno dei prossimi numeri dedicheranno uno speciale alle “mafie in Piemonte”.