Per essere precisi. Il senatore Marcello Dell’Utri è di nuovo indagato dalla Procura di Palermo. L’ambito d’inchiesta è quello ormai noto sulla trattativa tra Stato e mafia.
Dopo aver incassato la pena di nove anni in primo grado, poi ridimensionata a sette anni in appello, per concorso esterno in associazione mafiosa – i magistrati hanno dimostrato che ebbe il ruolo di interfaccia tra cosa nostra e l’imprenditore Silvio Berlusconi, ma solo fino al 1992 – la scorsa settimana i pm Nino Di Matteo, Paolo Guido e Lia Sava, titolari dell’indagine, hanno ipotizzato per il senatore anche l’accusa di violenza o minaccia a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario.
L’art. 338 del Codice Penale italiano spiega che “Chiunque usa violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ad una rappresentanza di esso, o ad una qualsiasi pubblica Autorità costituita in collegio, per impedirne in tutto o in parte […] l’attività, e’ punito con la reclusione da uno a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto per influire sulle deliberazioni collegiali di imprese che esercitano servizi pubblici o di pubblica necessita’, qualora tali deliberazioni abbiano per oggetto l’organizzazione o l’esecuzione dei servizi”. I Corpi politici ostacolati nello svolgere il proprio compito di rappresentanza democratica da Dell’Utri dovrebbero essere tutti quelli che dalla nascita di Forza Italia, nel ’94, hanno costituito l’opposizione. Il nome di Dell’Utri venne ascritto nei testi dell’indagine sulla trattativa tra Stato e mafia dopo essere stato pronunciato dal figlio di Vito Ciancimino, l’ex sindaco di Palermo, durante il processo al generale Mori, imputato di favoreggiamento mafioso. Ciancimino jr sostiene che Dell’Utri avrebbe preso il posto di Ciancimino senior come interfaccia politica nella trattativa oggi motivo di indagine. Anche il pentito Stefano Lo Verso, riportando le parole di Provenzano, e il collaboratore Gaspare Spatuzza, citando il boss Giuseppe Graviano, hanno indicato Dell’Utri come garante in parlamento degli interessi di cosa nostra, e, insieme a Berlusconi, interpreti del controllo del Paese esercitato da cosa nostra in quegli anni. Ma questa volta si parla di un reato minore.