Cascina Saetta: quando si parte?

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È il primo bene confiscato in provincia di Alessandria. La confisca è del 2005, a carico di Concetta Caci, compagna di Rosario Caci, condannato per essere il boss dello spaccio e della prostituzione nei vicoli storici di Genova, collegato alle famiglie gelesi dei Fiandaca-Emmanuello. Fin dagli anni ottanta era stato utilizzato come ricovero di armi e base operativa per latitanti. Si trova in Borgata Donna del Comune di Bosco Marengo (AL), a due chilometri da dove, il 21 giugno del 2011 nell’ambito dell’operazione “Maglio”, è anche stato arrestato Bruno Pronestì, oggi accusato di essere il capo della “locale” ‘ndranghetista del basso Piemonte. Un fatto che colpisce allo stomaco, specie rileggendo l’articolo di Rosario Cauchi su Libera Informazione del maggio 2011 (solo 10 giorni prima degli arresti di “Maglio”), che parla de “L’alleanza tra gelesi e calabresi in Lombardia”, con il dirigente della squadra mobile di Caltanissetta, Giovanni Giudice, che spiega modalità e ragioni dell’alleanza, stipulata proprio tra cosche gelesi e ‘ndrine calabresi nei comuni del nord Italia, con l’acquisizione recente da parte di questi ultimi dei territori storicamente sotto il controllo gelese. Il referente di Libera Alessandria, Carlo Piccini, ha seguito da vicino tutta la vicenda. Ne ha parlato diverse volte in sede di coordinamento regionale, e se n’è parlato venerdì su La Stampa. Anche noi gli abbiamo posto alcune domande: 1) A chi è dedicato il primo bene confiscato della vostra provincia e perché? Dopo la convocazione della Prefettura di Alessandria nel 2008, incui ci era stato proposto di individuare un progetto di riuso del bene, ci siamo informati sulla sua storia e sulla confisca avvenuta a carico di esponenti genovesi dei Fiandaca-Emmanuello, collegati al clan Madonia. Proprio quei Madonia che il 25 settembre 1988 furono i mandanti dell’uccisione del giudice Antonino Saetta e del figlio Stefano, in un agguato mafioso in Sicilia. Ma Antonino Saetta, appena entrato in Magistratura, ebbe come sua prima destinazione di lavoro il Tribunale di Acqui Terme, in provincia di Alessandria, dove visse, si sposò e dove nacque anche il figlio Stefano. Due vittime innocenti di mafia collegati fortemente alla nostra provincia, assassinati da esponenti dello stesso clan mafioso a cui è stato confiscato il bene di Bosco Marengo. Antonino Saetta fu poi per anni Presidente della Corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta, proprio la stessa Corte d’Assise che ha emesso il 26 maggio 2005 l’ordinanza di confisca del bene. A questo punto la scelta di chiamarlo “Cascina Saetta” è diventata una scelta naturale. 2) Cosa sta succedendo? Libera, contattata dalla Prefettura di Alessandria alla fine del 2008 per individuare un’ipotesi di riuso del bene, si era fatta carico nel 2009 di elaborare un progetto con Senape (una cooperativa sociale di tipo B di Casale Monferrato), che prevedeva, secondo un primo accordo stipulato nel 2010, la creazione di una attività in parte produttiva, con l’installazione di incubatoi per la riproduzione di quaglie da uova. L’attività di allevamento vera e propria sarebbe stata invece realizzata dai detenuti della casa di reclusione di San Michele ad Alessandria. Una parte dell’immobile avrebbe invece avuto una connotazione spiccatamente sociale, con la creazione di uno spazio dedicato alla didattica, a fruizione pubblica e a disposizione degli abitanti della borgata, dove oggi non esiste alcuno spazio ricreativo o di socializzazione, né privato (bar o circoli), né tanto meno pubblico. A settembre 2010 l’approvazione del progetto e il decreto di assegnazione da parte dell’Agenzia per i beni Confiscati. A novembre 2010 i 74.000 euro necessari ai lavori per l’agibilità dell’immobile (reso inagibile dal tempo, dall’incuria e da interventi edili errati) erano praticamente a disposizione. Poi cala il silenzio. Il 2011 trascorre in attesa di delibere comunali, di interventi demaniali di messa in sicurezza, di convenzioni che non si riescono a firmare. Con Libera e Senape che sollecitano, anche per iscritto, perché il rischio di peggioramento statico dell’immobile è reale e bisogna intervenire in fretta. 3) Perché tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012 c’è stato bisogno di rivedere completamente il progetto di riutilizzo? Con quali conseguenze? Solo nel gennaio di quest’anno è stato finalmente siglato l’accordo (un comodato d’uso per 99 anni) tra Senape e Comune di Bosco Marengo, ma la cascina non ha passato indenne gli ultimi mesi di abbandono e, puntualmente, si è materializzato il rischio già da noi prefigurato in più occasioni. Ma questa volta è l’Agenzia del Demanio che lo attesta ufficialmente in una sua nota: il primo progetto di messa in sicurezza non è più attuabile a causa del peggioramento complessivo e delle nuove lesioni comparse sulle strutture portanti e alla base del tetto… Tutto da rifare. I tecnici strutturisti contattati non ci lasciano speranze, bisogna demolire il bene e pensare al massimo ad una struttura prefabbricata. Si parla di triplicare i costi preventivati. C’è sconforto. Se si fosse intervenuto anche solo l’estate scorsa forse non ci saremmo ridotti a questo. 4) Di cosa si occupa la cooperativa Senape? Come ha vissuto l’evolversi della vicenda? Dobbiamo davvero ringraziare Senape per la tenacia che sta dimostrando. Senape è una cooperativa sociale di tipo B costituitasi nel 2004. Il nome significa Solidarietà Ecologia Natura Animali Producono Economia. Come ha vissuto gli eventi? Con perplessità, frustrazione, ora divenuta seria preoccupazione. L’interesse principale di una gran parte del territorio sembra che sia solo quello di manlevarsi da ogni responsabilità e di non tirare fuori una lira. Oggi il rischio è che Senape sia lasciata sola e che tutti gli oneri non preventivati dal progetto iniziale vengano scaricati sulle spalle di una cooperativa sociale. Così non può andare. È inaccettabile dopo sette anni di inerzia e di rinvii, non certo imputabili a Senape, oggi tentare di defilarsi. A sette anni dalla confisca abbiamo persino scoperto che al catasto il bene è ancora intestato a Concetta Caci e che, a quasi diciotto mesi dal decreto di assegnazione, in conservatoria la trascrizione da Erario dello Stato a Comune non è mai stato fatto. A questo punto non sappiamo neppure bene chi sia l’Ente Pubblico proprietario. 5) Quali sono i maggiori ostacoli e come superarli? In una società dominata da interessi economici e linguaggi concettuali, c’è un grosso problema di schiene dritte e di consapevolezza del linguaggio simbolico. Bisogna far prima di tutto capire alle amministrazioni locali, al mondo produttivo locale, alla società impegnata e responsabile del territorio, che non è solo un problema di Senape o del Comune di Bosco Marengo, ma che è un interesse comune concorrere in prima persona e con dignità a trovare delle soluzioni: non è più tempo di “far da tappezzeria”. Poi viene anche l’aspetto economico che è importante, sul quale però, se si risolve il primo punto e se si ritrovano dignità e volontà politica, siamo relativamente ottimisti. Infine c’è l’aspetto criminale, perché l’operazione “Maglio” ha dimostrato che siamo proprio al centro di una rete organizzata att
iva che mira al controllo del territorio. E qui bisogna essere uniti. Non lasciare il cerino acceso in mano a pochi, ma agire corresponsabilmente, tutelando le imprese che dovranno eseguire i lavori, proteggendo il sereno svolgimento delle attività, rendendo quindi il più possibile vivo e vissuto il bene, coinvolgendo la popolazione e certo anche tutte le istituzioni. 6) Che strategia state adottando per difendere il progetto, che ha un’importanza simbolica enorme? Abbiamo una grande fiducia nella Prefettura, che in questi anni è stato un interlocutore importante, perché si trovino delle soluzioni. Siamo certi che non ci sia mai stata negligenza da parte degli enti. Però forse qualche timore di troppo, qualche incertezza di troppo, qualche speranza che si rinunci a tutto per mettere il bene all’asta e togliersi il problema, forse questo un po’ c’è stato. Dobbiamo far capire proprio questo: l’importanza simbolica enorme di recuperare, senza se e senza ma, un bene confiscato alle mafie proprio a Bosco Marengo. Che non è un paese di mafiosi, sia ben chiaro a tutti! Ma proprio per questo è un posto che i mafiosi, gelesi o calabresi che siano, non devono più considerare “casa loro” (o meglio “cosa loro”). Un presidio di legalità come Cascina Saetta sarebbe un segnale inequivocabile e la sua realizzazione dovrebbe essere l’interesse prioritario di tutto questo territorio, a partire dai suoi amministratori e dalla politica.

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