Cosa c'è dietro i roghi nei terreni confiscati

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Il fenomeno degli incendi ha uno strano sincronismo con la stagione estiva. Da un mese a questa parte sembra averlo anche con i terreni confiscati alla mafia e affidati alle Cooperative di Libera Terra.

Il 10 luglio a Isola Capo Rizzuto (KR) sono andati a fuoco 7.500 metri quadrati coltivati a orzo. I terreni erano gestiti dall’ ATS Libera Terra Crotone ed erano stati confiscati al clan Arena.

Il 3 luglio a Pignataro Maggiore (CE) brillavano nella notte dodici ettari di grano, coltivato dalla Cooperativa Le terre di Don Peppe Diana, del circuito di Libera Terra.

Il 20 giugno a Oppido Mamertina (RC), di nuovo in Calabria, le fiamme divoravano oltre 7 ettari di uliveti gestiti dalla Cooperativa sociale Valle del Marro, anch’essa facente parte dello stesso circuito.

Il 12 giugno nel trapanese, in un uliveto di Castelvetrano e contemporaneamente in un altro a Partanna – peraltro già colpito 10 giorni avanti – il fuoco ha consumato ettari di uliveti e vigneti, confiscati alla mafia e affidati alla Cooperativa Libera Castelvetrano.

Il 10 giugno a Mesagne, nel brindisino, sono stati incendiati due appezzamenti coltivati a grano di 7 e 4 ettari. Solo il primo doveva fruttare almeno 200 quintali di grano.

L’8 giugno a Belpasso, Catania, 2000 piante di aranci e 100 di ulivi sono sparite in poche ore. Sei ettari di terreno recintato, che era stato confiscato al clan mafioso dei Riela, ora coltivato dai ragazzi della Cooperativa Beppe Montana Libera Terra.

Don Luigi Ciotti, il fondatore di Libera, ha pacatamente ammesso: “Non possiamo più pensare a delle coincidenze”.

Purtroppo non sono neppure intimidazioni sterili. C’è di più.
Il IV Rapporto sulla “Criminaltà in agricoltura”, redatto dalla Confederazione italiana agricoltori (Cia) con la Fondazione Humus, spiega come quello degli incendi dolosi nei terreni confiscati non sia sintomo di teppismo o vendetta. Quello dell’agricoltura è un ramo che frutta ogni anno alle organizzazioni criminali 50 miliardi di euro. Il Rapporto descrive numeri inaspettati: 240 reati commessi ogni giorno nel settore. 350 mila agricoltori vittime quotidiane di racket, pizzo, strozzinaggio, rapina, furto. Sebbene possa non sembrare il settore più redditizio delle attività mafiose i clan sono molto legati alla terra, non solo a quella da cui provengono. Se prima era un fenomeno circoscritto alle regioni del Sud oggi interessa l’Italia intera. E i reati non sono solo quelli che conosciamo da anni. Se il caporalato, con i suoi schiavi, dopo Rosarno, ha fatto il giro di tutte le televisioni, poco si parla di abigeato (ogni anno spariscono 150 mila capi di bestiame), macellazione clandestina, discariche abusive. I furti di prodotti agricoli sono sempre più frequenti e spesso avvengono direttamente nei campi con raccolti clandestini. E poi l’usura: negli ultimi cinque anni 25 mila imprese agricole hanno dovuto chiudere per debiti non pagabili e accumulati presso degli strozzini. Il Rapporto stima che un terzo delle attuali aziende agricole abbia una posizione economica debitoria. Il reato più ‘recente’ è il furto del rame, dovuto al rialzo delle quotazioni del metallo sul mercato nero. Furto operato su contatori, cavi elettrici, generatori e macchinari, che spesso comporta il blocco totale delle attività delle aziende agricole.
Quella mafiosa nel settore agricolo è una presenza che strozza il mercato, distrugge la concorrenza e instaura un monopolio oppure un oligopolio basato sulla paura e la coercizione. Impongono i prezzi d’acquisto agli agricoltori, controllano la manovalanza degli immigrati con il caporalato, decidono i costi di logistici e di transazione economica, utilizzano proprie ditte di trasporto (sulle quali viaggiano anche droga e armi), possiedono società di facchinaggio per il carico e scarico. Inoltre, negli ultimi anni le organizzazioni criminali arrivano fino alla tavola degli italiani, grazie all’ingresso diretto nella Grande distribuzione organizzata (Gdo) con supermercati ed insegne proprie.

Giuseppe Politi, presidente della Cia, presentando il rapporto ha lanciato una proposta. Creare, nel settore agricolo, il rating di legalità delle imprese che prevede l’istituzione presso l’Antitrust di un apposito albo. L’autorità garante per la Concorrenza, infatti, si raccorderà con i ministeri dell’Interno e della Giustizia e la premialità sarà tradotta in un accesso più facile ai finanziamenti pubblici e ai prestiti bancari. Ogni proposta che regolamenti il settore e lo renda più trasparente può aiutare. Nel frattempo i terreni confiscati alle cosche e affidati alle cooperative di Libera generano raccolti che non arrivano sul mercato. Il segnale è chiaro.