Dimenticare, confondere, ricordare, vivere

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Bruno Caccia. Chi lo dimentica, chi lo confonde, chi lo ricorda, chi continua a vivere la sua vita.

Tutto questo succede in una mattina d’inverno, a Torino. Il teatro è l’inaugurazione dell’anno giudiziario, sabato 26 gennaio. Tra gli attori, tutti i vertici della Corte d’Appello e della Procura Generale.

Chi lo dimentica.

Quest’anno, ingenuamente, pensavamo che il trentennale dell’omicidio di Bruno Caccia sarebbe stato ricordato da tutti, anche stante l’importante processo Minotauro che vede ritornare molti cognomi di cosche già operative all’epoca dell’uccisione del Procuratore. Era il giugno 1983 e il “con il procuratore Caccia non ci si poteva parlare”. Per questa ragione venne freddato sotto casa, mentre passeggiava col cane. 17 colpi. Ancora ignoti gli esecutori dell’omicidio, mentre come mandante è stato condannato all’ergastolo nel 1993 Domenico Belfiore, da Gioiosa Jonica. La mattinata passa e intervento dopo intervento (incluso quello del Ministro Paola Severino) nessuno menziona Bruno Caccia. Tra di noi ci guardiamo un po’ sorpresi.

Chi lo confonde.

Ci vogliono pazienza e tempo per leggere tutta la Relazione dell’inaugurazione dell’Anno Giudiziario. Ma se si arriva a pagina 173, al settimo capitolo (cioè l’ultimo prima degli allegati) si trova il suo nome. Ed è un passaggio in particolare del Presidente Barbuto che vogliamo riportare “Il palazzo entrò in funzione nel 2001, ed è dedicato a Bruno Caccia, Procuratore della Repubblica di Torino, assassinato dalle Brigate Rosse, sotto casa nel 1983, due anni prima che si deliberasse la costruzione del nuovo palazzo. Per il quale, l’evocazione della fortezza, pur se inconsapevolmente, non fu estranea alla percezione sociale di aggressione terroristica di quegli anni.” Avete letto bene. Brigate Rosse. Questo c’è scritto nella relazione che trovate sul sito giustizia.piemonte.it e che è stata distribuita in numerose copie stampate sabato mattina.

Brigate Rosse. E la ‘ndrangheta? Domenico Belfiore faceva forse parte delle BR?

Chi lo ricorda.

Alla fine della mattinata, in un’aula ormai spoglia e stanca della lunga cerimonia, prende la parola il Procuratore Capo Gian Carlo Caselli. Ricorda il collega Caccia, le ragioni della morte, le parole dei suoi figli. Riprendiamo qui uno stralcio del suo discorso. << Il 2013 è l’anno del XXX anniversario della morte di Bruno Caccia. I figli del Procuratore ucciso dalla ‘ndrangheta hanno indirizzato ai media (che l’anno pubblicata integralmente o per ampi stralci) la lettera che ora leggo:

“A trent’anni dalla morte di nostro padre, siamo profondamente grati a tutti coloro che vorranno ricordarlo con eventi e iniziative che ne onorano la memoria e che ci fanno un grande piace. In tutti questi anni nelle periodiche ricorrenze e non solo, abbiamo sentito sempre forte e presente il ricordo e l’affetto delle Istituzioni cittadine. Abbiamo apprezzato lo sforzo continuo dell’associazione Libera, che è riuscita a tener viva la scintilla dell’interesse e della partecipazione, anche e soprattutto tra i giovani. Non possiamo però nell’occasione tacere ciò che purtroppo ancora ci cruccia. A fronte degli esiti processuali che risalgono ormai a molti anni fa, sentiamo tuttora il disagio per qualcosa che non ci pare ancora del tutto chiarito. Le recenti cronache del processo Minotauro avallano in qualche modo i nostri dubbi, mettendo in luce un percorso della malavita organizzata che dai fatti di oggi si può far risalire fino ad allora. Proprio in quest’ottica, la sentenza definitiva ci pare a tutti gli effetti una verità parziale. Ci piacerebbe perciò che la ricorrenza di quest’anno diventasse occasione e stimolo per uno sforzo corale teso ad avvicinarsi maggiormente alla Verità, partendo dal presupposto che l’omicidio di nostro padre non fu certo un fatto isolato nella storia cittadina. Questa memoria “fattiva” sarebbe secondo noi un degno coronamento della commemorazione del suo sacrificio”.

Firmato: Guido, Paola e Cristina Caccia”

Una lettera franca. Essa comporta per tutti (politici, amministratori, società civile, giuristi e magistrati) l’obbligo di MOLTIPLICARE il proprio IMPEGNO. L’OBBLIGO PER TUTTI DI RESPINGERE CON FORZA, CON SDEGNO, OGNI TENTAZIONE DI SOTTOVALUTAZIONE ( E QUALCOSA IN QUESTO SENSO VA PURTROPPO SERPEGGIANDO).

PERCHE’ LA PENETRAZIONE DELLE MAFIE AL NORD E’ UN’ EMERGENZA IN ATTO DA LUNGHISSIMO TEMPO, mentre scarsissima è la consapevolezza al riguardo. Ergo, nessuna presa di posizione, nessuna decisione significativa è registrabile. Incredibile ( nel nostro Piemonte) questa mancanza di consapevolezza:

1) in Piemonte viene ucciso bel 1983 Bruno Caccia (il più “eccellente” dei 44 omicidi di mafia registrati in provincia di Torino fra il 1970 ed il 1983, con 24 persone uccise di origini calabresi)

2) in Piemonte è il primo comune italiano sciolto per mafia : 1995 Bardonecchia

3) numerose ed importanti sono state negli anni passati le inchieste della magistratura torinese sul versante ‘ndranghetista ( Cartagine per tutte).

Perché questa mancanza (rifiuto?) di consapevolezza? Per ignoranza, impreparazione, ritardo culturale, miopia, sottovalutazione, distacco aristocratico (razzista) della gente del nord verso il pericolo mafioso? Anche per tutto questo….insieme al (soprattutto per il) fatto che la mafia nelle aree non tradizionali riesce ad IBRIDARSI, riesce a proteggersi con una FORZA RELAZIONALE che fa di tutto per non essere percepita, per non essere avvertita come pericolo presente. La mafia opera sistematicamente, programmaticamente, ontologicamente ( è nel suo DNA) per MIMETIZZARSI. Questa mimetizzazione è anch’essa vecchia QUANTO LE MAFIE, per cui è ben strano che funzioni ancora oggi, mietendo vittime anche illustri in alto loco. MENTRE proprio la strategia di mimetizzazione del crimine organizzato ne dimostra la PERICOLOSITA’. Tutto ciò è scolpito nel 416 bis. Dimenticarlo o ignorarlo non si può. I figli di Caccia, con la loro lettera, ci chiedono di non farlo.>> (G.C. Caselli)

Chi continua a vivere la sua vita.

In quest’ultimo capoverso vanno ricompresi tutti coloro che fanno il proprio dovere fino in fondo, come faceva Bruno Caccia. A partire da chi abita un luogo a lui dedicato, un luogo confiscato alla famiglia Belfiore (capitali mafiosi e non brigatisti), la Cascina in cima a San Sebastiano da Po, dove si cerca di costruire una comunità alternativa alle mafie, grazie all’incrocio dell’impegno di molti.

Chiediamo scusa alla famiglia del Procuratore per tutti coloro che oggi, a trent’anni di distanza, lo dimenticano o lo confondono.

Noi abbiamo scelto di ricordarlo e di continuare a vivere la sua vita.