Appalti, le white list rimangono in bianco

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Il Dpcm 18 aprile 2013 è stato pubblicato in Gazzetta il 15 luglio, ed è entrato in vigore il 14 agosto. È una delle misure previste dalle norme sugli appalti, che prevede, facoltativamente, l’iscrizione agli elenchi provinciali, tenuti dalle prefetture, per le aziende operanti nel settore edilizio che abbiano assolto ai controlli antimafia.
I settori professionali interessati sono nove. Movimento terra, trasporto materiali e rifiuti, noleggio di attrezzature con o senza conducente, fornitura di calcestruzzo, bitume e ferro, vigilanza dei cantieri. Settori storicamente a rischio di infiltrazioni criminali. Sono dette “white list”. Una volta iscritta l’impresa ha la certezza di poter ottenere, per la durata di un anno, contratti di appalto superiori a 5 milioni di euro e subappalti sopra i 150 mila euro, senza la necessità di sostenere altri controlli.
La misura, seppur semplice, è all’avanguardia. Tuttavia poco considerata.
Un’indagine de Il Sole 24 Ore, “Edilizia e Territorio”, ne ha messo a nudo i numeri.
Nella white list di Roma sta scritta la ragione sociale di una sola ditta. Una cinquantina sono in attesa, ma il numero delle imprese che lavora nei settori sopracitati nel territorio della capitale è di 7.510 (Camera di commercio, 30 settembre 2013).
Anche a Torino, una sola iscrizione. A Genova zero a fronte di 5 domande. A Trento due iscritte e due in attesa di iscrizione. A Brescia zero iscrizioni. A Prato una richiesta in attesa di esaminazione. A Cagliari e Bari zero iscrizioni e zero domande. A Palermo zero. A Napoli zero. A Catania tre iscrizioni. A Cosenza come a Catanzaro zero. Lo sbilanciamento tra iscrizioni, richieste e numero di ditte operanti sul territorio non cambia tra Roma e una provincia più piccola: Messina, zero iscrizioni, 90 richieste in attesa di valutazione e circa 2.000 imprese operanti nei settori edilizi a rischio infiltrazioni.
A Reggio Calabria una cinquantina di domande. A Venezia 29 iscrizioni (per 1.872 aziende). Taranto, 20 imprese iscritte. È andata meglio a Milano, forse per via dell’Expo 2015, dove sono 157 le iscrizioni. All’Aquila, in via di ricostruzione, 81 iscrizioni. Meglio di tutti, Modena con 719 e Ferrara con 800.
Nonostante il climax, lo stesso quotidiano ha battezzato la misura come un ‘flop’.
I motivi.
La scarsa informazione?
I funzionari delle prefetture garantiscono che le imprese sono state allertate. Le prefetture hanno inserito correttamente, per tempi e visibilità, le informazioni e i moduli da utilizzare per iscriversi.
La novità? Dall’entrata in vigore di agosto a dicembre sono passati circa 4 mesi. Per presentare un richiesta di esaminazione e attendere la risposta, il tempo dovrebbe essere più che sufficiente, tant’è che sono di più le imprese che attendono l’iscrizione e in fase di esaminazione che non quelle già iscritte.
Difficoltà? Per l’iscrizione è necessario presentare istanza alla prefettura utilizzando l’apposito modello (scaricabile dal sito della prefettura stessa), ed inviarlo, corredato dei relativi allegati (scaricabili), tramite posta elettronica certificata. Poi, attendere che le prefetture incrocino i dati.
Scarsa utilità? Per le imprese iscritte nella white list non sarà necessario richiedere la certificazione antimafia per la stipula dei contratti, subappalti e subcontratti. L’iscrizione è equivalente alla ‘comunicazione antimafia’ (documento rilasciato dalla prefettura, obbligatorio per alcune attività d’impresa) e  all’‘informazione antimafia’, che si ottiene solo dopo indagini sul campo da parte delle forze di polizia, per attività corrispondenti ai nove settori imprenditoriali che sopra abbiamo elencato.
Insomma, da qualsiasi punto lo si guardi il provvedimento dovrebbe essere un vantaggio, soprattutto se inteso come qualifica ulteriore su un curriculum. Considerata la carenza di lavoro attuale.
L’analisi di “Edilizia e Territorio” de Il Sole 24 Ore spiega il ‘flop’ adducendo due ragioni.
La prima, la “decertificazione”.  Dal 1° gennaio 2012 è entrato in vigore l’articolo 15 comma 1 della Legge 183/2011 che ha modificato alcune norme in materia di certificati. Ossia, imprese e cittadini possono evitare di richiedere a pubbliche amministrazioni (pa) certificati da consegnare ad altre pa o privati gestori di pubblici servizi: in tutti i rapporti con le pa e i gestori di pubblici servizi i certificati sono infatti sempre sostituiti da dichiarazioni sostitutive di certificazione o dall’atto di notorietà.
La seconda ragione sta nella facoltà dell’iscrizione. La non obbligatorietà delega alla discrezione di ciascun gestore d’impresa la scelta per l’iscrizione.
Forse in Italia le iscrizioni, se non obbligatorie, non sono prese sul serio.

Un pensiero su “Appalti, le white list rimangono in bianco

  1. Paolo Besso

    Tutto ok ma la certificazione non basta occorre anche il controllo costante tempi-costi appalti e verifiche continue personale impiegato

I commenti sono chiusi.