Cave: un business per pochi, un danno per molti

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Nonostante la crisi del settore edilizio, l’attività estrattiva in Italia non si è fermata anzi si è espansa nel corso degli ultimi anni. Un settore che non ha conosciuto crisi grazie alla carenza della legislazione di tutela del paesaggio e alle forti opportunità di guadagno legate ai canoni di concessione irrisori previsti dai comuni. È questa la radiografia che emerge dal Rapporto Cave 2014 di Legambiente che è stato presentato a Novara dal Presidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta Fabio Dovana e dal referente di Libera Novara Mattia Anzaldi.

UN BUSINESS PER I COSTRUTTORI

L’estrazione di materie prime dal territorio rimane una delle attività economiche più redditizie poiché i canoni di concessione che devono pagare i cavatori sono irrisori rispetto ai ricavi: in media appena il 3,5% del prezzo di vendita degli inerti. Così accade anche in Piemonte, una regione ai primi posti per l’attività estrattiva. Il rapporto di Legambiente ha individuato 473 cave attive e 224 cave dismesse o abbandonate nella nostra regione: la maggior parte di queste sono concentrate nell’area golenale del Ticino tra le province di Novara e Varese dove negli ultimi anni sono stati scavati milioni di metri cubi di terreno e i conseguenti crateri sono stati utilizzati per il conferimento di “rifiuti speciali”. Un’attività che nel solo Piemonte genera ogni anno oltre 137 milioni di euro per le aziende e che porta nelle casse dello Stato solamente 5 milioni di euro. Una situazione che gioca a favore del settore edilizio, ma che danneggia il bene pubblico. Se la Regione Piemonte applicasse i canoni in vigore in Gran Bretagna (la tariffa più alta in Europa) le entrate regionali per la sola estrazione di sabbia e ghiaia si attesterebbero intorno ai 33,5 milioni di euro a fronte dei 5 milioni di euro di oggi. E proprio per questo una delle proposte di Libera e Legambiente contenuta nella piattaforma L7 è quindi quella di prevedere canoni di concessione maggiori per il ricorso a materiali inerti e minori per chi ricorre a materiali di recupero. Inoltre, relativamente alle attività di cavazione in aree protette, le associazioni propongono che i canoni siano di almeno il 30% maggiori rispetto alle restanti aree.

 

L’ASSENZA DI NORME

La crescita dell’importanza di questo settore non si è accompagnata allo sviluppo di un quadro normativo capace di regolare questo fenomeno. A livello nazionale, occorre tornare al Regio Decreto del 1927 per trovare qualche riferimento mentre a livello regionale l’ultimo provvedimento risale alla Legge Regionale 44 del 2000 che ha previsto l’adozione di Piani delle Attività Estrattive a livello provinciale. A 14 anni di distanza da quel provvedimento, solamente la provincia di Novara ha un Piano Cave in vigore. Nel frattempo, la giunta Cota ha portato avanti il “Disegno di Legge Regionale n. 364 – Misure urgenti di semplificazione delle norme regionali sulle attività estrattive” che è stato fortemente criticato da Legambiente e Libera inq uanto prevede sconti sui canoni concessori per alcuni progetti di ripristino, esclude dal pagamento del diritto di escavazione gli interventi finalizzati a sistemazioni agrarie o fondiarie per determinate volumetrie e inserisce nella normativa regionale l’istituto della “proroga” per le attività che non hanno ultimato i lavori nei termini temporali previsti premiando di fatto chi non ha ultimato i lavori come previsto dal progetto e dall’autorizzazione rilasciata. “Occorre promuovere una profonda innovazione nel settore –hanno dichiarato Fabio Dovana, presidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta, e Matteo Concina, presidente del circolo di Legambiente Novara– attraverso regole di tutela efficaci e canoni come quelli in vigore in altri Paesi Europei che permettano, al tempo stesso, di ridurre la quantità di materiali estratti e di dare impulso al riutilizzo dei rifiuti inerti provenienti dalle demolizioni edili. Sia la normativa nazionale che quella regionale sono state formulate in una prospettiva sviluppista che immaginava la domanda di inerti in crescita costante, le risorse abbondanti e le criticità ambientali scarse. Questo approccio non ha consentito di affrontare, con un’attenta pianificazione e una conversione all’efficienza, la crisi economica e il conseguente crollo della domanda”.

 

UN BUSINESS PER LE ECOMAFIE

I grandi margini di guadagno e l’assenza di regolazione rappresentano due delle condizioni ideali che hanno permesso la penetrazione delle ecomafie in questo settore economico. Cavazione, discariche e cemento sono oltretutto i settori più infiltrati dalle ecomafie, così come denunciato da Legambiente e Libera e come confermano le numerose indagini delle Forze dell’Ordine. In Piemonte, solo nel 2012, le FDO hanno accertato nel ciclo del cemento 199 infrazioni, sono state denunciate 260 persone e sono stati effettuati 15 sequestri. Il ciclo illegale del cemento nella regione è caratterizzato da una forte presenza di interessi mafiosi, come testimoniano importanti inchieste e operazioni messe in atto dalla Magistratura; una su tutte l’inchiesta Minotauro ma anche le più recenti indagini legate all’Expo 2015.