Sarà un processo breve. Questa la sensazione a caldo, uscendo dall’aula della Corte d’Assise d’Appello di Milano, che il 5 febbraio ha dato avvio al secondo grado di giudizio per Rocco Schirripa, accusato di aver preso parte all’omicidio del Procuratore Capo di Torino Bruno Caccia, il 26 giugno 1983.
Dopo la relazione di rito e la lettura delle motivazioni dell’appello presentato dalla difesa, si è entrati subito nel vivo del procedimento, con la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Galileo Proietto.
Proietto ha ricostruito il contesto nel quale è maturato l’omicidio, ha ribadito le ragioni della sentenza di primo grado, definendola “una sentenza giusta, un passo in avanti verso la verità” e ha chiesto, quindi, la conferma dell’ergastolo.
Il pomeriggio si è aperto con una dichiarazione spontanea dell’imputato. Schirripa, con voce non sempre sicura, ha ribadito la sua estraneità ai fatti, dicendo di sentirsi “un capro espiatorio, una facile preda perché ‘compare’ di Belfiore, pregiudicato e calabrese”. “Chi mi accusa” prosegue “lo fa per i benefici”: una chiara allusione ai collaboratori coinvolti nell’inchiesta.
Dirompente l’intervento di Fabio Repici, avvocato della famiglia Caccia, che ha ribadito, come già fatto in primo grado, la necessità di ampliare lo spettro di indagine, aldilà di Rocco Schirripa e Domenico Belfiore. Quest’ultimo, lo ricordiamo, è stato a capo del clan dei “calabresi” di Torino negli anni ’80 ed è stato condannato in via definitiva nel 1992 come mandante dell’omicidio.
Repici è stato ripreso con decisione da Maria Grazia Bernini, presidente della Corte, che “pur apprezzando lo sforzo per la ricerca della verità”, ha affermato, “il procedimento in essere deve accertare le responsabilità dell’imputato”. La presidente Bernini ha chiesto all’avvocato di limitarsi a proporre istanze istruttorie inerenti il giudizio di Schirripa.
Repici ha definito la sentenza di primo grado “una sentenza timida” ed il processo in corso un “piccolissimo” sottolineando il diminutivo “passo verso la verità”. L’avvocato ha chiesto di sentire come testimoni gli allora colleghi di Caccia, mai ascoltati in nessun procedimento, neanche nel processo a Belfiore.
“Il processo Caccia è l’unico della storia repubblicana in cui non sono stati sentiti i colleghi del magistrato ucciso”.
Secondo l’avvocato, anche Daniel Panarinfo, collaboratore di giustizia, dovrebbe essere sentito. Egli, infatti, ha rilasciato dichiarazioni che riguardano l’omicidio Caccia, emerse nell’ambito della recentissima operazione Geenna, del 23 gennaio scorso, sulla presenza della ‘ndrangheta in Valle d’Aosta.
Panarinfo, riferendo di un incontro, in cui era presente Rocco Piscioneri, sodale di Schirripa, afferma che Piscioneri “era molto agitato per gli sviluppi delle indagini sull’omicidio Caccia perché aveva detto delle cose che avrebbe dovuto tenere per sé”. La circostanza gli sarebbe stata riferita da Bruno Nirta, boss dell’omonima famiglia calabrese, con cui il collaboratore era in stretti rapporti.
L’incontro sarebbe avvenuto prima dell’arresto di Schirripa nel dicembre 2015.
Nirta gli avrebbe raccontato che Piscioneri “era preoccupato e temeva la reazione di Domenico Belfiore e di suo cognato Placido Barresi”.
Barresi, già imputato con Belfiore, ma assolto, è uomo chiave nella vicenda Schirripa: sue le conversazioni con Belfiore e Schirripa, che inchiodano l’imputato come esecutore materiale del delitto Caccia. Conversazioni intercettate grazie a un virus informatico caricato sul cellulare dello stesso Barresi.
Ed anche di Barresi ha parlato l’avvocato Repici nel suo intervento. Il cognato di Belfiore, ancora oggi in regime di semi-libertà, avrebbe violato le regole di questo beneficio incontrando Schirripa, pregiudicato. “Nonostante sia scritto in una sentenza della Repubblica che Placido Barresi ha violato la semi-libertà, questi gode ancora del beneficio.” Il 15 novembre scorso Repici ha segnalato al Tribunale di Sorveglianza di Torino la circostanza. “Se l’istanza non dovesse trovare riscontro, si affermerà con sempre più certezza l’idea che Barresi è stato un agente provocatore.”
Prossima udienza il 13 febbraio, parola alla difesa.
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Guarda il video riepilogativo della vicenda di primo grado:
Grazie per aver pubblicato un resoconto accurato dell’incredibile vicenda giudiziaria che incornicia questo spaccato d’Italia.
Un altro protagonista dimenticato, un giudice che ha pagato con la vita la ‘ndrangheta, tanto potente da arrivare a gestire il bar del Tribunale. Una vicenda che trova scarso spazio sui media italiani, purtroppo oberati di lavoro procurato oggi dagli abiti ( nemmeno le canzoni ) di Sanremo e i twitter mononeuronici di chi lo segue.
Grazie per l’ottimo rendiconto , scritto con lo sguardo di chi sa a fondo e può davvero raccontare. La testimonianza e il valore documentale di questo articolo offre davvero un grande servizio alla democrazia, che dovrebbe fornire percorsi paralleli a quelli dell’informazione.
Spero i vostri lavori arrivino in più scuole possibili. Sarebbe davvero appassionante per bambini e ragazzi seguire le gesta di questo eroe a cui è intitolato il tribunale.