Usura: analisi giuridica del reato

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Approfondimento a cura di Paolo Lamberti

Il contesto all’interno del quale matura il reato di usura è quello del prestito di denaro, indipendentemente dal fatto che tale attività sia effettuata da soggetti ad essa professionalmente preposti – banche ed altri intermediari finanziari – o da singoli soggetti privati che, per le più varie ragioni (ad es., di “amicizia”), si propongono di aiutare le persone che necessitano in maniera pressoché immediata di liquidità contante. Si ha, quindi, come premessa strutturale di una condotta d’usura, questa relazione tra creditore (la banca o il soggetto privato che presta) e debitore (il soggetto che riceve il denaro e che sarà tenuto a restituirlo). Siccome il denaro è ritenuto essere un bene capace di produrre frutti (che si sostanziano in altro denaro), al di là delle ragioni di carattere caritatevole che potrebbero spingere un soggetto a concedere del denaro in prestito ad altro soggetto, la ragione principale che muove la stipulazione di tali tipi di contratti (formali o meno) è il guadagno dell’interesse sulla somma data a prestito; interesse che è, per l’appunto, quella somma che matura a partire dalla somma di denaro da a prestito, e che dovrà essere corrisposta dal debitore unitamente alla prestazione restitutoria. (Es: il creditore dà 100 in prestito, il debitore sarà tenuto a restituire 100, ma siccome quei 100 sono considerati fruttiferi ed hanno prodotto del denaro, quel denaro prodotto – l’interesse, appunto – dovrà anch’esso essere restituito; quindi, di fatto, il debitore si trova sempre a dover restituire una somma superiore a quella che ha ricevuto).

La condotta d’usura, che può essere commessa da chi, all’interno della relazione precedentemente descritta, riveste il ruolo di creditore, si sostanzia nella richiesta della corresponsione di una somma a cui viene applicato un tasso d’interesse che risulta essere usurario. Due sono le ipotesi in cui un tasso d’interesse può risultare usurario. La prima è quella in cui il tasso d’interesse pattuito tra creditore e debitore sia superiore a quello che viene trimestralmente calcolato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (sulla base del tasso effettivo globale medio applicato dalle banche), aumentato di un quarto ed ulteriormente aumentato di quattro punti percentuali. (Es: a fronte di un TEGM rilevato dal Ministero al 6%, è usurario quel tasso che sia superiore al 6%, aumentato di un quarto (=7,5%), ulteriormente aumentato di quattro punti percentuali (+4%); è quindi usurario quel tasso di interesse che sia pattuito in misura superiore all’11,5%).  La seconda ipotesi in cui il tasso d’interesse è usurario non è individuabile a priori come quella appena descritta, ma dev’essere individuata caso per caso sulla base delle concrete circostanze e situazioni all’interno delle quali è maturata la concessione del prestito. In particolare, sarà il giudice a poter ritenere usurario quel tasso d’interesse che, seppur inferiore alla soglia individuata sulla base dell’operazione matematica descritta in precedenza, sia stato stipulato con un debitore che si è accertato essere in condizione di difficoltà economica o finanziaria, e sia sproporzionato rispetto alla prestazione del denaro.

Quindi, per riassumere, commette il reato di usura quel creditore che, dopo aver concesso un prestito ad altro soggetto, pretenda la restituzione della medesima somma di denaro aumentata in virtù dell’applicazione di un tasso che, sempre o in concreto, è usurario. Questa è la fattispecie tipica di usura. Non è, però, la sola condotta che può dar vita all’usura. Occorre, infatti, tener conto del fatto che la legge punisce anche colui che, nella predetta relazione tra creditore e debitore, non rivesta il ruolo del creditore, quanto piuttosto quello dell’intermediario, del soggetto, cioè, che media tra creditore e debitore, con l’esplicito fine di far conseguire al debitore la somma di denaro di cui egli abbisogna. Chi si propone ad altri come mediatore, assicurando la possibilità – per suo tramite – di ottenere un prestito, naturalmente deve essere retribuito per tale attività svolta. Tuttavia, si verifica un comportamento penalmente rilevante, nelle forme della mediazione usuraria, ogniqualvolta il mediatore, per lo svolgimento di tale sua attività, si faccia dare o anche solo promettere un compenso che è usurario (rispetto al cui calcolo valgono le indicazioni già date in precedenza a proposito del tasso d’interesse).

Lo strumento principale che il nostro ordinamento offre a coloro che, trovandosi nella posizione del debitore, si sono trovati costretti alla stipulazione di un contratto (formale o più spesso informale) di concessione di un prestito, i cui oneri restitutori sono caratterizzati dall’usurarietà, è quello della denuncia. Benché il reato di usura come tale sia perseguibile anche d’ufficio, in quanto la sua rilevanza penale è particolarmente importante, e cioè possa essere perseguito e sanzionato anche in assenza di usura, la denuncia è lo strumento fondamentale a disposizione del debitore, che assume il ruolo di vittima d’usura, per uscire dal “ricatto contrattuale”. Denunciando di essere vittime di usura, infatti, si mette in moto un meccanismo di protezione che, oltre a stimolare la risposta dello Stato alla commissione del delitto (attraverso le attività d’indagine portate avanti dalla Polizia Giudiziaria coordinata dal Pubblico Ministero), consente altresì, in concreto, alla vittima, di poter accedere al Fondo che lo Stato stesso ha per lei predisposto. Attraverso la proposizione di una denuncia, infatti, si mette in moto un meccanismo di rete solidaristica attorno al denunciante, che si estrinseca anche nella possibilità per tale soggetto di richiedere, attraverso la compilazione di un’apposita domanda online, la concessione di una somma di denaro a titolo di mutuo, che dev’essere restituita nel termine massimo di 10 anni, sulla quale non maturano interessi, che va di fatto a sostituire quelle somme che precedentemente la vittima richiedeva a prestito e sulle quali maturavano i tassi d’interesse usurari. La vittima, quindi, attraverso la denuncia, ha la possibilità di accedere a denaro pubblico da utilizzare per la propria attività (nella prassi, infatti, coloro che contraggono tali debiti sono imprenditori e/o negozianti di vario genere), uscendo completamente dal circuito del prestito di denaro effettuato a condizioni illegali ed entrando invece in quel circuito legale, perché predisposto e finanziato dallo Stato, di concessione del denaro; circuito che, oltre che legale, è per la vittima di usura anche assai più vantaggioso, perché si tratta – occorre ribadirlo – di concessione di una somma a titolo di mutuo sulle quali non matura alcun interesse.

 

Assai più difficile è, invece, individuare un contesto-tipo all’interno del quale possa maturare un’estorsione. L’ampia formulazione della norma – che punisce chiunque costringa, attraverso l’utilizzo della violenza o della minaccia, taluno a fare o ad omettere di fare qualche cosa, e da tale costrizione ne derivi il duplice evento dell’ingiusto profitto (per l’autore del reato, o anche per altri) e dell’altrui danno – non consente infatti di individuare con precisione quale sia il contesto nel quale è più facile che si verifichi un’estorsione. D’altra parte, tale ampiezza ha il grande pregio di facilitare l’attività di sussunzione della situazione pratica nella lettera dell’art. 629 c.p. propria del pubblico ministero e del giudice, in quanto, in concreto, è possibile ritenere configurata l’estorsione ogniqualvolta si accerti che, nel caso di specie, v’è stata una condotta costrittiva realizzata mediante violenza o  minaccia, da cui sia derivata l’influenza del processo decisionale di un soggetto (la vittima) che, in assenza di costrizione non avrebbe di certo agito nel modo voluto dall’estorsore, e, da questa scelta presa dalla vittima, sono derivati contestualmente un ingiusto profitto in capo ad alcuni ed un danno in capo ad altri. Il fatto di avere ben chiari quali siano gli elementi costitutivi del delitto di estorsione è di fondamentale importanza, perché consente di evitare di fare confusione con altri delitti che, pur sembrando in astratto simili all’estorsione, da questa divergono profondamente: ci si riferisce, in particolare, all’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, all’usura, alla rapina, alla truffa. Concentriamo allora la nostra attenzione su una breve disamina di tali elementi costitutivi. Anzitutto, può esserci estorsione soltanto se la condotta mediante la quale si ottiene l’influenza sul processo decisionale della vittima (e, da ciò, l’ingiusto profitto) sia costrittiva: occorre, cioè, che la libertà di scelta della vittima sia influenzata in modo decisivo, senza peraltro che essa debba essere completamente annullata. Il reato di estorsione comporta, in buona sostanza, la cooperazione della vittima, in quanto, essendole state prospettate due alternative ben chiare – l’azione o l’omissione da un lato, il patimento del male prospettato dall’altro – costei sceglie liberamente, benché fortemente influenzata, di agire secondo le indicazioni che promanano dall’estorsore. Ancora, la condotta di tipo costrittivo deve essere realizzata con violenza o anche solo con minaccia, e come tale non può mai concretizzarsi in una mera induzione, essendo la condotta induttiva estromessa dall’alveo della punibilità proprio della norma. Occorre, poi, che la condotta estorsiva (costrittiva) produca, oltre al condizionamento della vittima del reato nel senso voluto dall’agente, l’ulteriore duplice evento di procurare un ingiusto profitto (che non dev’essere necessariamente patrimoniale) e di cagionare un danno (che, al contrario, può essere preso in considerazione in tanto in quanto afferisca alla dimensione della patrimonialità).

Avendo in mente con chiarezza tali elementi, è assai più agevole approcciarsi all’analisi di un caso concreto per verificare se si tratti di estorsione o di altro reato.

Senza voler riprendere quanto già detto nel discorso sull’usura, occorre qui ricordare che anche le vittime delle richieste estorsive hanno diritto, purché denuncino di aver subito tali richieste, di accedere al Fondo di Solidarietà appositamente costituito presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Ritorna quindi, ancora una volta, l’aspetto fondamentale della denuncia; fondamentale non tanto per consentire all’Autorità Giudiziaria di perseguire simili reati – perché stante la loro gravità, è stato previsto che le indagini possano essere iniziate d’ufficio, in presenza della sola notizia di reato, senza che necessariamente debba essere stata presentata querela da parte della vittima – quanto piuttosto per consentire alla vittima stessa di liberarsi dalle pressioni, dai costringimenti, dalle minacce e dalle violenze subite, ed anche dalle difficoltà economiche in cui potrebbe essere venuta a trovarsi a seguito delle richieste, accedendo appunto all’erogazione di somme di denaro a fondo perduto – che non devono, cioè, essere restituite allo Stato, ma che servono a ristorare immediatamente la vittima del danno subito (che, lo ricordiamo, può essere preso in considerazione soltanto qualora sia connotato dalla patrimonialità).

 

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