Tanti modi di dire Corruzione

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Lasciati CORROMPERE dall’onesta informazione

Rubrica a cura del Presidio Antonino Cassarà


Chi di noi sa dire che cos’è la corruzione? Rispondere a questa domanda non è mai stato semplice o scontato. Perciò questa rubrica nasce con l’obiettivo (ambizioso) di provare a dare un contributo alla definizione della corruzione, fornendone una ricostruzione storica, un approfondimento, un costante aggiornamento – perché, come dimostra l’attualità, è un tema che non passa mai di moda.


Trent’anni fa Italo Calvino, che non era un giurista, un politologo o un economista, scriveva un amaro racconto dal titolo “Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti”. Qui di seguito un estratto:

“C’era un paese che si reggeva sull’illecito. Non che mancassero le leggi, né che il sistema politico non fosse basato su principi che tutti più o meno dicevano di condividere. Ma questo sistema, articolato su un gran numero di centri di potere, aveva bisogno di mezzi finanziari smisurati (…) e questi mezzi si potevano avere solo illecitamente cioè chiedendoli a chi li aveva, in cambio di favori illeciti. Ossia, chi poteva dar soldi in cambio di favori, in genere, già aveva fatto questi soldi mediante favori ottenuti in precedenza; per cui ne risultava un sistema in qualche modo circolare e non privo d’una sua armonia. Nel finanziarsi per via illecita, ogni centro di potere non era sfiorato da alcun senso di colpa, perché per la propria morale interna ciò che era fatto nell’interesse del gruppo era lecito; anzi, benemerito: in quanto ogni gruppo identificava il proprio potere col bene comune; (…) Avrebbero potuto dunque dirsi unanimemente felici, gli abitanti di quel paese, non fosse stato per una pur sempre numerosa categoria di cittadini cui non si sapeva quale ruolo attribuire: gli onesti”. Leggendo queste parole scritte nel 1980, è davvero difficile non pensare alla realtà dei giorni nostri. Eppure la storia dell’uomo ci mostra che, già molto prima di Calvino, le società greche e romane discutevano di corruzione.


Ma prima di parlare di ciò che accadeva nei tempi antichi, vogliamo provare a dare una definizione di corruzione – anche se, come vedremo, sarebbe meglio parlare di “definizioni” di corruzione – facendoci aiutare dalla vasta letteratura sul tema.

La Transparency International (un’organizzazione della società civile impegnata nella lotta contro la corruzione – www.transparency.org), ad esempio, definisce la corruzione come “abuse of public office for private gain”, ovvero “abuso del potere pubblico per interessi privati”. L’agenzia dell’ONU che si occupa di corruzione, l’UNCAC – United Nations Convention against Corruption, invece, non dà alcuna definizione del fenomeno.


In generale, i criteri adottati per dare una definizione della corruzione sono stati numerosi e spesso in contraddizione o in sovrapposizione l’uno con l’altro, ma tutti fanno riferimento ad un abuso dei doveri formali legati ad un ruolo pubblico, ad una deviazione da regole informali o dai criteri di interesse pubblico.


Sulla base del criterio legale, la corruzione è una condotta che devia da certi standard di comportamento previsti per l’esercizio dell’autorità pubblica nell’ambito di una comunità politica data. Questo criterio, però, non è sufficiente a dare una definizione del fenomeno: infatti, se si prova a fare una comparazione tra due ordinamenti differenti, noteremo che un medesimo atto, che produce i medesimi effetti, è considerato corruzione in alcuni ordinamenti, ma non in altri. Un esempio potrebbe essere la corruzione tra privati, che in Italia non è contemplata dal codice penale mentre in Gran Bretagna è sanzionata.

Quindi, a livello europeo e internazionale, non esiste un’omogeneità legislativa che permetta di dare una definizione univoca del concetto di corruzione utilizzando il criterio legale.


Possiamo altresì intendere la corruzione come violazione sancita dalla pubblica opinione. Nel 1970 Arnold Heidenheimer sosteneva che la corruzione è quello che viene riconosciuto come tale dal giudizio della pubblica opinione, ovvero quando la società condanna un atto e si produce il senso di colpa. Ma anche questo criterio non è pienamente soddisfacente, poiché non definisce la corruzione, ma le dinamiche di scandalizzazione, e cioè gli effetti che la corruzione ha sul sistema politico. Questo criterio può essere associato a quello della moralità, in base al quale la trasgressione che caratterizza l’atto corrotto riguarda le norme etiche di una società e i codici di condotta che regolano l’esercizio della professione politico-burocratica.


Un altro criterio per definire la corruzione è quello legato all’efficienza, in base al quale è corrotto il comportamento di chi, nell’esercizio della sua carica, favorise interessi privati in cambio di un compenso, andando a trasgredire all’interesse pubblico.

Ma cos’è l’interesse pubblico?

Nella concezione liberale, l’interesse pubblico risiede nel rispetto delle norme giuridiche e dei principi del rule of law che vincolano sia i cittadini che gli agenti pubblici – e ciò ci rimanda al criterio legale.


Il merito di dare una definizione di corruzione capace di tracciare una linea comune tra tutti i vari modelli proposti e di differenziarla da altre fattispecie va alle scienze sociali.

In questo ambito è stata sviluppata la teoria dell’agenzia, che prevede la presenza di un agente (funzionario pubblico) che traduce in decisioni e in atti pubblici le preferenze comunicategli da un principale (lo Stato o il cittadino) che lo ha delegato a rappresentarlo, il quale però non controlla in ogni momento l’operato dell’agente, che gode di una libertà così ampia da poter tentare di massimizzare la propria utilità dall’esercizio del suo compito di rappresentante. In una situazione di normalità, tra i due soggetti c’è uno scambio ufficiale. La corruzione si verifica nel momento in cui lo scambio diventa occulto, ovvero quando tra il funzionario pubblico e lo Stato (o il cittadino) entra in gioco un terzo soggetto (il cliente) che va a sviare l’attività dell’agente dai suoi doveri, orientando le decisioni a suo favore in cambio di una rendita.

In questa prospettiva, per concludere con il pensiero di Irene Gunein, la corruzione può essere definita come la violazione illegale, e dunque nascosta, delle regole poste da un contratto implicito od esplicito che determina una delega di responsabilità da un principale a un agente, che si realizza quando l’agente scambia le risorse del contratto in uno “scambio corrotto” con un “cliente corruttore”, dal quale riceve come ricompensa una somma di denaro (la tangente) o altre risorse di valore.



Fonti

1. .D. Della Porta – A. Vannucci, Mani Impunite. Vecchia e nuova corruzione in Italia, Laterza, 2007

2. Tesi di laurea di Elisa Martino, “Democrazia e corruzione”.


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