Educare alla legalità i minori detenuti

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Ieri, 9 novembre 2011, Maria José Fava, referente di Libera Piemonte, e Antonio Pappalardo, Direttore del Centro di Giustizia Minorile per il Piemonte e la Valle d’Aosta “Ferrante Aporti”, hanno firmato il rinnovo del protocollo d’intesa. La collaborazione, avviata tre anni fa, è nata in applicazione del protocollo nazionale già stipulato tra Libera e il Dipartimento di Giustizia Minorile, e ha come obiettivo la realizzazione di percorsi di educazione alla legalità.

Fino ad oggi sono stati realizzati quattro interventi, grazie agli educatori Sara Lege, Marco Maccarrone, agli educatori del carcere e, in alcuni casi, grazie agli insegnanti che lavorano presso il centro.

Così commenta il dott. Antonio Pappalardo: “Per noi è un piacere rinnovare la collaborazione con Libera in Piemonte, perché ci consente di contribuire all’attività di una rete dal solido radicamento e dall’ampia diffusione. Non si tratta di semplici vetrine, ma di sostanza. I ragazzi detenuti vengono coinvolti nei laboratori di educazione alla legalità organizzati all’interno del centro e al di fuori di esso, nell’ambito dei progetti attuativi delle misure cautelari alternative riconducibili all’area penale esterna, come il periodo di messa alla prova. Lo svolgimento di attività socialmente utili in un bene confiscato alla mafia acquista, per noi operatori della giustizia, un significato simbolico fortissimo”.

I laboratori-tipo vengono descritti da Marco Maccarrone: ciascun intervento viene pensato su quattro incontri, per creare occasioni di confronto a partire dal tema delle mafie, intese come modello sociale prodotto dalle scelte dei singoli. La metodologia adottata è la peer to peer education, sovente supportata da laboratori ludici o dalla visione di film, con cui si racconta la mafia attraverso le storie personali delle vittime o dei testimoni di giustizia. In genere, l’incontro finale diventa il momento in cui riflettere su chi ci guadagna e a scapito di chi in questo sistema di relazioni e di poteri. Il modello cambia a seconda dell’età e della cultura di provenienza dei minori detenuti che vi partecipano.

Per Sara Lege, responsabile della gestione di Cascina Caccia, l’idea di far svolgere il periodo di messa alla prova nei beni confiscati, mediante progetti credibili approvati dalla magistratura, acquista un significato anche per gli educatori: dare un’opportunità di formazione a chi cerca di cambiare la propria vita in un luogo che pure ha mutato la propria identità, da spazio costruito illegalmente a luogo disponibile per tutti.

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