Il "gran rifiuto" delle due scuole liguri

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da Il Secolo XIX del 24/01/2012

di Gian Carlo Caselli

Il “Secolo XIX” di domenica scorsa narra di un “gran rifiuto” da parte dei presidi di due licei di Genova. Non vogliono ospitare  nelle loro aule dibattiti su temi di legalità e antimafia.  Perché? Temono forse la partecipazione di un  Riina o Provenzano o di un qualche “picciotto” di Bordighera? Niente di simile. Da non credere, ma la motivazione (si fa per dire…)  è tutt’altra. Riguarda  Luigi Ciotti e la sua scorta! Ciotti,  un prete che da anni si spende e si consuma in ogni parte della penisola e oltre contro tutte le forme di illegalità e di mafia;-  un  prete che è  motore  di “Libera” , che da anni organizza cooperative di giovani coraggiosi che lavorano  – ormai in ogni parte d’Italia –  le terre confiscate ai boss : realizzando un’antimafia sociale che è il fiore all’occhiello del nostro Paese,  perché dimostrazione quotidiana  di un recupero di legalità che “paga”,  in quanto  riscatto in termini di libertà e dignità conquistate col lavoro, baluardo della democrazia contro le intimidazioni mafiose. E’ per tutti questi motivi che  Ciotti è costretto a vivere scortato dalla Polizia di Stato, perché i mafiosi  gliel’hanno giurata e  ripetutamente lo hanno pesantemente minacciato.

Ora, è più di vent’anni che Ciotti viene invitato  in tutte le scuole della Penisola. Ne avrà, io  credo, “collezionate” una decina di migliaia. Come lui, vanno a parlare nelle scuole (sull’esempio di Falcone e Borsellino) vari magistrati anch’essi scortati perché ci sono dei criminali che li hanno in…antipatia. Mai è venuto in mente a qualcuno di sollevare problemi legati alla presenza delle scorte. E’ una grave anomalia che in Italia ci siano persone oneste che devono vivere scortate  sol perché si ostinano a fare quel che ritengono giusto. Ma ancor più anomalo è il fatto che mentre lo Stato  con una mano protegge tali persone, con l’altra ( anche i Presidi  sono pezzi dello Stato, o no?) le ricusa. Non dico che chi rischia la pelle per servire interessi generali (vuol dire di tutti, cari Presidi, anche vostri) debba essere pensato come perennemente avvolto nel tricolore. Sarebbe ridicolo. Ma rispettato, sì. E non c’è bizantismo – il commento  viene attribuito al Prefetto di  Genova –  che possa occultare la sostanziale mancanza di rispetto  che si realizza con una condanna all’ ostracismo dalle scuole della Repubblica.

Perché tantissime scuole liguri, in questo periodo, richiedono la presenza di Ciotti? Perché vogliono  partecipare  più responsabilmente alla “Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime di mafia”,  un’iniziativa  che risale al 1996 e  che il  17 marzo prossimo si terrà a Genova.  L’elenco delle vittime è purtroppo infinito.  Se hanno dovuto morire certamente  è perché lo Stato, ma anche noi, non siamo stati sino in fondo quel che avremmo dovuto essere. Non siamo stati vivi: non abbiamo vigilato; non ci siamo scandalizzati abbastanza. Queste vittime hanno visto la sopraffazione, la ricchezza facile e ingiusta, la compravendita della democrazia, lo scialo di morte e violenza, i giovani abbandonati nelle strade. E non si sono voltati dall’altra parte. Hanno cercato la giustizia. Per questo sono morti. E noi, invece, quante volte ci siamo accontentati della ipocrisia civile? Quante volte abbiamo subito e praticato, invece di spezzarlo, il giogo delle mediazioni e degli accomodamenti?

Mi auguro – sinceramente e senza retorica – che i due  Presidi genovesi vogliano rivedere la decisione di escludere Ciotti dalle loro scuole. Per poi partecipare,  in testa al corteo formato anche dai loro ragazzi, alla giornata del 17 marzo.  Una giornata che vedrà anche la presenza di  centinaia di familiari delle vittime di mafia.  Unirsi a loro è segno di solidarietà verso chi ancora oggi paga il prezzo di lutti insensati, vivendo  un continuo dolore dell’anima, che non lascia respiro. Questi familiari hanno saputo trasformare la loro sofferenza da fatto privato in testimonianza pubblica, dignitosa e forte. Stare accanto a loro è un atto semplicemente doveroso.

 

 

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