Basso Piemonte: niente 416/bis senza assoggettamento e intimidazione

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Il fatto non sussiste, così piovono le assoluzioni. Ma nel basso Piemonte la locale di ‘ndrangheta esiste. Questo, in estrema sintesi, il ragionamento del Giudice Massimo Scarabello che lo ha portato a dichiarare innocenti i 16 imputati considerati appartenenti alla ‘ndrangheta dalla procura di Torino, grazie alla chiusura dell’operazione Albachiara. Operazione che nasce da intercettazioni ambientali e telefoniche e che vede – caso più unico che raro – un consigliere Comunale di Alessandria, Giuseppe Caridi considerato dai PM assocciato alla cellula con la dote di “picciotto”. L’unico a ricevere una condanna è Bruno Pronesti, dall’accusa considerato a capo della locale, condannato a un anno e sei mesi per detenzione illegale di armi.

Nelle 110 pagine, depositate pochi giorni fa, il giudice Torinese passa in rassegna tutti gli elementi probatori portati dalla pubblica accusa e, per testimoniare o meno l’esistenza del reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, fa ricorso alla giurisprudenza sul tema prendendo in considerazione numerose sentenze.

Elementi giuridici che sono serviti alla Corte ad affermare che la cellula di ‘ndrangheta esiste ma gli imputati non possono essere condannati per il reato di 416/bis.

E Perché, verrebbe da chiedersi.

Per il giudice l’innocenza risiede nelle parole inserite nell’articolo che sanziona l’organizzazione criminale di tipo mafioso. Perché di ‘ndrangheta si tratti devono essere dimostrati gli elementi necessari ed essenziali che la caratterizzano: forza intimidatrice del vincolo associativo, condizione di assoggettamento e condizione di omertà. Non è sufficiente che mutui i rituali tipici dell’affiliazione, che mantenga legami con la casa madre Calabrese e che sia in possesso di armi a disposizione del gruppo. Deve essere presente sul territorio facendo ricorso alla forza per creare condizioni di assoggettamento e omertà.

E secondo il Giudice Scarabello, chiamato a giudicare attraverso il rito abbreviato i 16 imputati, questo legame non è stato dimostrato: “A questa conclusione pare invero giungere non solo l’Ufficio inquirente, che non ha offerto dimostrazione alcuna della consistenza del requisito della forza intimidatrice delle condizioni di assoggettamento ed omertà che ne discendono”.

Nelle pagine redatte il Giudice descrive il gruppo come una cellula di ‘ndrangheta ma non trova nella tesi dei Pm elementi utili a dimostrare l’attività sul territorio tipica dell’organizzazione mafiosa. Ritorna più volte sul punto, nelle oltre 100 pagine della Sentenza: “disegnano (i Pm ndr), con indubbia precisione, la struttura “interna” di un locale di ‘ndrangheta, con la sua organizzazione, le sue regole, i collegamenti con la “casa madre” calabrese, ma del tutto inidonei a offrire la dimostrazione del concreto inserimento di tale struttura nella realtà del contesto territoriale del basso Piemonte”.

Per Massimo Scarebello, quindi: “ gli elementi strutturali dimostrati esistenti nel caso di specie (riti, affiliazioni, vita sociale, sanzioni interne, carattere armato della associazione) costituiscono elementi atti a dimostrare che “di lì a poco” l’associazione sarebbe divenuta operativa.

Ebbene, pur di fronte ad un locale ‘perfetto‘”, come scrive il giudice, il gruppo è stato smantellato prima di compiere i cosiddetti “reati scopo” tipici delle organizzazioni criminali di stampo mafioso.

 

In attesa del ricorso annunciato dalla Procura di Torino gli imputati sono da ritenersi tutti innocenti, perché il fatto non sussiste.