Processo Minotauro: l'usura e la paura di denunciare

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E’ morto il 28 dicembre del 2008, ma il suo nome intimorisce chi oggi è chiamato a testimoniare nell’aula bunker, mentre “ieri” ha avuto occasione di conoscerlo e chiedergli dei “favori”. Parliamo di Giuseppe Gioffrè, raggiunto dal pimbo a Bovalino per un regolamento di conti tra cosche. Nativo di San Luca, trapiantato a Settimo Torinese dove aveva un’attività come carpentiere, era per gli inquirenti attivo al locale di Natile di Careri a Torino. E oggi nell’aula Bunker delle Vallette è stato il “protagonista” dell’udienza per vicende legate all’attività di usura messa in piedi a Settimo. La sua base operativa era il Bar Milano, luogo da lui frequentato che usava per concedere e farsi consegnare il denaro prestato.

Secondo la ricostruzione dei Pm, Gioffrè prestava denaro al tasso del 10% mensile e chi sgarrava veniva convinto a pagare. Altro mezzo utilizzato, per essere sicuro di avere indietro le somme consegnate, era quello di fare accendere ai debitori dei finanziamenti presso una finanziaria compiacente, permettendo così al cravattaro di rientrare del capitale e degli interessi,  senza molti rischi d’impresa.

Oggi in aula sono stati sentiti quelli che, secondo intercettazioni e riscontri delle indagini, sono finiti nella spirale del credito d’usura targato Gioffrè. C’è chi ha raccontato una verità, seppur parziale, dicendo che conosceva Giuseppe Gioffrè “perché con lui giocava a carte al bar” e che prestava denaro e, in cambio, chiedeva alcune centinaia di euro in più rispetto alla cifra elargita, ma a titolo di favore.

Dichiarazioni in netto contrasto con quelle rilasciate ai Carabinieri in sede di indagine. Ma c’è chi, pur di non ammettere in aula ciò che aveva dichiarato alle Forze dell’Ordine, ha ritrattato tutto ciò che firmò a verbale raccontando una storia priva di elementi credibili. Sentito circa un anno fa, N.R., ambulante di Settimo, disse di aver chiesto 5000 euro a Gioffrè perché aveva contratto dei debiti di gioco per un totale di 30/40mila euro. Una cifra che gli avrebbe permesso di respirare, nonostante il tasso del 10% richiesto ogni mese. Ma oggi l’uomo ha ritrattato tutto. Lui non ha mai chiesto denaro per sé, ma ha solo fatto da tramite per un non ben precisato Giuseppe, persona che aveva conosciuto tra i banchi del mercato. E poi, le minacce ricevute dal boss deceduto si sono trasformate “ in discussioni” e il tasso richiesto non era certo usura, ma un favore reso per aver ricevuto il denaro.

La scena vista oggi in aula testimonia il timore dei teste. Nonostante la presidente di Corte abbia fatto notare all’uomo che le parole pronunciare lo avrebbero fatto passare da testimone ad imputato – ha infatti ammesso di essere stato complice del reato di usura con Gioffrè consegnando lui stesso le quote mensili – l’uomo non ha fatto alcun passo indietro: “Signor Giudice, la verità è quella che sto raccontando oggi in aula, il mio solo errore è quello di aver messo in contatto Giuseppe con Gioffrè”. Peccato che la storia non regga. I Pm, infatti, oltre alle dichiarazioni rese al tempo dal testimone, possono avvalersi delle intercettazioni telefoniche: nessun Giuseppe è mai stato citato e il debito era stato contratto dall’ambulante e non certo da una terza persona. Con tutta probabilità, quindi, vista la ritrattazione resa e la storia inverosimile raccontata, N.R. verrà imputato per falsa testimonianza.

Il clima che si percepisce in aula è chiaro e la paura si coglie in modo netto. I testimoni alternano ai “non ricordo” versioni che sono lontane dalla realtà e il timore di confermare a Processo ciò che è stato dichiarato nei verbali – per paura di ritorsioni o per la possibilità che qualcuno stia facendo pressioni affinché modifichino le versioni rese agli inquirenti – si percepisce in modo chiaro e distinto.

L’intimidazione e l’assoggettamento sul territorio prendono corpo udienza dopo udienza, e non potrebbe essere altrimenti. Non dimentichiamo che a Torino si sta celebrando un maxi processo per decine di imputati accusati di far parte della ‘ndrangheta, associazione mafiosa che proprio grazie a minaccia, omertà, paura e violenza vive, opera e fa affari nelle ricche terre del Nord.

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