Da Rosarno a Castelnuovo: la rivolta dei braccianti

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Tutto inizia il 22 giugno 2012. Quaranta lavoratori di un’azienda agricola dell’alessandrino, denunciano di non essere pagati da mesi se non con piccoli rimborsi, sfruttati, vittime di razzismo e schiavitù, e decidono di smettere di lavorare e di denunciare la loro condizione di braccianti. Rosarno? No, Castelnuovo Scrivia, profondo nord delle pianure piemontesi.

 

Ma incominciamo dal principio: durante la serata di giovedì 16 maggio, organizzata dal Presidio cittadino che si occupa della questione, alla presenza dei ragazzi che hanno vissuto la situazione, è emerso un quadro allarmante. Raccontano che l’azienda di riferimento aveva assunto nell’arco degli ultimi dieci anni molti braccianti di origine marocchina, uomini e donne, pagandoli inizialmente cinque euro all’ora e facendoli lavorare anche moltissime ore a settimana. Pare che dopo un paio d’anni, avesse iniziato a pagarli quattro euro, poi uno, ed infine niente. Sembra che negli ultimi mesi versasse un acconto una tantum di duecento euro al mese, sempre a fronte di orari di lavoro assurdi.

Dalle parole dei giovani sembrano cose dell’altro mondo: “il padrone aveva dato un soprannome a tutti noi, e non ci chiamava mai per nome. Uno di noi, addirittura, veniva chiamato con il nome del cane del capo”. Sembrerebbe che fossero tutti in condizioni di ricatto: generalmente venivano loro chiesti 2.500 per rinnovare il permesso di soggiorno, per chi lo poteva avere. Si dovevano comprare da sé l’attrezzatura per lavorare ed essere disponibili ad ogni orario e con ogni temperatura. Raccontano che l’unica possibilità di bere era quella di usufruire dei tubi per l’irrigazione. Alcune donne tra loro spiegano che vivevano insieme in una sottospecie di depandance della cascina dove lavoravano, e dopo dodici ore di lavoro andavano a sistemare la casa del padrone e a preparargli da mangiare.

 

Un bel giorno quaranta di loro decidono di dire no e di accamparsi ai bordi della statale che passa accanto alla cascina in cui lavoravano, per chiedere giustizia. Contattano da subito alcuni conoscenti (insegnanti di italiano conosciuti ai corsi e persone a loro vicine), e la protesta si palesa. Solo grazie ad un avvocato che denuncia per schiavitù il padrone della Lazzaro alcuni di loro riescono ad ottenere il permesso di soggiorno. Ad oggi soltanto cinque di questi quaranta hanno un lavoretto. Alcuni si sono trasferiti in Francia, ad Arles, ma la maggioranza di loro non ha una prospettiva. Dopo essere stati inseriti in alcune aziende per qualche mese, alcuni denunciano di essere poi stati licenziati, anche se solo verbalmente e con atteggiamento discriminatorio – ad esempio affiggendo cartelli con scritto “i marocchini non lavorano più qui”, visibili nel video proiettato durante la serata. Sono stati impugnati i licenziamenti ma niente è successo. “E che non si dica che non esiste il caporalato – dice una donna del Presidio cittadino che si occupa della questione – perché l’abbiamo visto con i nostri occhi”.

 

E le istituzioni dove sono? I giovani e i cittadini hanno tentano più volte di incontrarle, spesso con insuccesso. La consigliera regionale Eleonora Artesio ha poi presentato un O.d.g. in Consiglio Regionale chiedendo di erogare finanziamenti soltanto a quelle aziende che possono dimostrare di avere lavoratori in regola, ma non l’ha votato praticamente nessuno. Alcuni sindaci della zona tortonese hanno inviato una lettera al Prefetto a febbraio per chiedere di incontrarlo, ma ancora attendono risposta.

Intanto, nel luglio 2012, la Procura di Torino ha aperto un’inchiesta, ma non sembrano esserci ancora rinvii a giudizio.

Nel frattempo, iniziano gli sfratti, ed i permessi di soggiorno sono in scadenza. Senza un lavoro questi ragazzi non possono né pagare l’affitto né avere il rinnovo del permesso di soggiorno.

Come se non bastasse, sono nel frattempo esplosi i casi di altre due aziende nella zona che riservavano trattamenti simili ai dipendenti.

 

Prima fu Rosarno, poi Saluzzo e Nardò, ed ora Castelnuovo. Le campagne del nostro Paese sembrano nelle mani di una fitta rete illegale che si permette di sfruttare l’uomo fino a livelli di schiavitù estrema. Il sistema di connivenze è evidente, ma ciò che è ancora più evidente è la mancanza di prospettiva per questi giovani che hanno deciso di parlare, e che si trovano ora in condizioni di estrema povertà ed incertezza. Le leggi sull’immigrazione convincono sempre di più i giovani migranti ad accettare situazioni lavorative estreme perché non vedono altre prospettive, e li costringono spesso a situazioni non dignitose per la persona umana.

Sarebbe cosa buona e giusta se la politica riuscisse a fare qualcosa, e finalmente concedere loro il trattamento che meritano come esseri umani.

Un pensiero su “Da Rosarno a Castelnuovo: la rivolta dei braccianti

  1. Lanfranco

    Signori, ci sono anche altri tipi di schiavitù:
    Per esempio IO ho firmato un contratto per 60.000€ (6mesi di lavoro in CONGO) i dirigenti sapevano della situazione finanziaria della loro azienda (SPA)di quasi insolvibilità. Sono partito e per due mesi ho lavorato 10 ore al giorno per circa due mesi tutti i sabati e domeniche (eccetto le prime due) compreso il giorno di Natale (3 ore) poi mi sono ammalato di Broncopolmonite e sono rientrato. Non mi hanno pagato, ho rimesso anche un biglietto aereo (ITALIA). Posso denunciari i dirigenti (non la società che non gli frega nienete) per schiavitù???
    Saluti
    Lanfranco

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