La ‘ndrangheta in Piemonte, le motivazioni del Processo Minotauro

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E’ emersa la presenza sul territorio piemontese di una struttura criminale di stampo mafioso, costituita non semplicemente da una serie di soggetti che qui si sono associati e qui hanno iniziato a delinquere, ma per contro da persone che hanno ‘importato’ tipologie di reati, linguaggi, riti e doti tipici della terra di origine della ‘ndrangheta ed operato secondo le sue tradizioni, mantenendo legami stabili con organismi di vertice della ‘ndrangheta calabrese”. Sta in queste poche righe la modalità di azione e la struttura della ‘ndrangheta tra Torino e provincia. A scriverlo, nero su bianco nelle motivazioni per le condanne comminate lo scorso 22 novembre nell’ambito del processo Minotauro, è la Quinta Sezione penale del Tribunale di Torino.

Il dispositivo di condanna aveva ritenuto responsabili in primo grado 37 soggetti capaci di strutturate ai piedi della Mole un’organizzazione criminale che “ non può più ritenersi solo un insieme di ‘locali’ o cosche, ma deve essere considerata struttura unitaria di cui queste sono articolazioni territoriali” con un grado elevato di autonomia locale, ma con collegamenti con la casa madre in Calabria.
Così la Corte ha riconosciuto l’esistenza delle 9 locali, ma non del Crimine ( gruppo deputato ad azioni violente) e della Bastarda ( cellula non riconosciuta dalla casa madre), fattori che non hanno certo invalidato l’esistenza della ‘ndrangheta in Piemonte. Una struttura criminale che attua per sopravvivere ed espandersi tutte le prerogative dell’organizzazione mafiosa stabilite dal 416/bis.
Nelle 457 pagine redatte dalla Corte si passano in rassegna, uno dopo l’altro, tutti i reati tipici come le estorsioni, il racket, l’infiltrazione negli appalti, il traffico di droga, possesso d’armi.
Ma c’è soprattutto il legame con la politica e l’uomo cerniera tra i due mondi è Nevio Coral, ex sindaco di Leinì, condannato a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Nel dispositivo di primo grado non ci sono dubbi sulla colpevolezza dell’ex Re di Leinì “ non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell’associazione… che fornisce un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo”. Lo scambio consiste nell’appoggio elettorale dei “calabresi” in cambio di denaro, favori e appalti. Secondo la Corte Coral, attraverso questo patto, ha condizionato l’esito delle elezioni comunali di Leinì (2009) e Volpiano (2011), delle Regionali con l’apporto dato alla nuora, Caterina Ferrero (2011) e le provinciali di Torino del 2009 per l’elezione del figlio Ivano.
E’ stato testimoniato un vero e proprio pagamento del pacchetto di voti con l’elargizione di somme di denaro – almeno 24mila euro – a soggetti di cui “ Non poteva essergli ignota la mafiosità dei numerosi esponenti anche apicali della ‘ndrangheta operante in Piemonte”. Ma non c’è solo lo scambio di denaro. Nevio Coral faceva lavorare nei propri cantieri ditte riconducibili ai clan. E non solo. La ‘ndragheta non ha lavorato solo grazie a commesse private, si è inserita anche negli appalti pubblici, tramite la Provana, municipalizzata di fatto gestita dall’Ex Sindaco. Per i giudici non c’è alcun dubbio: “risulta oggettivamente documentata la infiltrazione di imprese mafiose( nella Provana n.dr.)”.

Ma non è il solo a beneficiare dell’apporto elettorale dei clan. L’altro soggetto è Fabrizio Bertot, ex sindaco di Rivarolo Canavese e oggi europarlamentare del PDL, che tramite l’interessamento di Antonino Battaglia – suo segretario in Comune – e l’imprenditore Giovanni Macrì ha ottenuto un vantaggio in termini di voti, grazie al rapporto instaurato da questi ultimi con uomini di spicco della cosche in Piemonte. Per Battaglia e Macrì la Procura aveva ipotizzato il reato di voto di scambio politico mafioso, ma i giudizi li hanno condannati per voto di scambio semplice, visto che non è stata provata la dazione di denaro. E’ da questo rapporto che si leggono le più importanti novità. Durante la lettura del dispositivo, il Giudice Paola Trovati aveva rimandato gli atti alla Procura per approfondire la posizione di Fabrizio Bertot che, si legge nelle motivazioni “ sentito come teste in dibattimento ha reso dichiarazioni non veritiere, fu infatti l’immediato, diretto e consapevole beneficiario dell’accordo illecito”. Per l’europarlamentare potrebbe esserci l’incriminazione per falsa testimonianza, o forse di qualcosa d’altro. Perché, infatti, la Procura ha messo sotto la propria lente una fattura pagata da un’azienda di Bertot in favore “della ditta di MACRI’ Srl per una somma all’incirca corrispondente a quella chiesta da Catalano”. Proprio quei 20mila euro richiesti dal gotha della ‘ndrangheta in Piemonte, Giuseppe Catalano, per l’apporto all’elezione di Bertot. Quindi per l’ex sindaco il capo di imputazione potrebbe essere ben più grave.
Dall’EuroParlamento alle elezioni di Chivasso, cittadina alle porte di Torino. Anche qui per il Tribunale è evidente il ruolo giocato dalla ‘ndrangheta alle elezioni di Chivasso del 2011, attraverso Bruno Trunfio, condannato a 7 anni per associazione mafiosa. Trunfio, ex assessore all’Urbanistica e coordinatore cittadino dell’Udc, ha condotto le trattative per le alleanze politiche. Un ruolo che evidenzia “l’indice dell’infiltrazione della ‘ndrangheta in settori nodali della società civile e di quella capacità di mimetismo e di adattamento che rende il fenomeno mafioso di difficile individuazione e repressione”.

Queste 457 pagine del Tribunale di Torino fissano, in modo inequivocabile in attesa degli altri gradi di giudizio, l’esistenza della ‘ndrangheta in Piemonte, capace di espandersi e radicarsi con l’assoggettamento e l’omertà, ma anche – e soprattutto – grazie ai legami stretti con l’imprenditoria e rappresentanti delle istituzioni.

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