Qualche mese fa, in tempi non sospetti, pubblicavamo un piccolo ritratto del magistrato Armando Spataro che davanti agli studenti del corso di perfezionamento sulla criminalità organizzata di Milano aveva raccontato il proprio lavoro. Da oggi Armando Spataro è diventato Procuratore Capo della Repubblica di Torino e sul nostro sito vogliamo riproporre quel pezzo per dargli il benvenuto.
Da oltre quarant’anni, il Procuratore Armando Spataro vive in prima linea le battaglie contro le più gravi minacce al nostro paese: negli anni Settanta e Ottanta, appena entrato in magistratura si impegna nel contrasto al terrorismo interno, negli anni Novanta sul fronte dell’antimafia, mentre con il nuovo Millennio ritorna ad occuparsi di terrorismo, ma questa volta internazionale. Una carriera professionale che si snoda attraverso momenti storici per l’Italia e che ha raccontato sabato scorso agli studenti del corso di Perfezionamento “Scenari Internazionali della Criminalità Organizzata” di Milano.
I primi anni della sua carriera nella Procura di Milano sono stati caratterizzati dal fenomeno del terrorismo: “Nel periodo dell’omicidio Moro, come magistratura ci siamo trovati impreparati nel contrasto a questo fenomeno criminale. Forse solo a Torino si era creata una sezione della magistratura specializzata”. Una lacuna che è stata presto colmata grazie alla capacità del gruppo di procuratori di cui Spataro faceva parte di adattarsi alle situazioni e di superare le difficoltà senza stare a badare alla lentezza della “macchina della giustizia”. Sono stati proprio loro a decidere di incontrarsi informalmente pagandosi di tasca propria le trasferte per condividere informazioni per coordinare le indagini condotte dalle diverse procure. Durante queste sedute, alle quali partecipavano anche i membri della polizia giudiziaria, si creava una “virtuosa condivisione di capacità investigative che portò all’elaborazione di linee giudiziarie dalle quali nacque la fattispecie del concorso esterno in associazione mafiosa”. A queste riunioni periodiche fin dal 1986-1987 partecipavano anche magistrati come Giovanni Falcone che volevano comprendere meglio il meccanismo del lavoro in pool. “Negli anni successivi, i colleghi siciliani utilizzarono pari pari la legislazione nata per contrastare il terrorismo e la applicarono a Cosa Nostra. Inoltre vennero create strutture come la Direzione Distrettuale Antimafia e la Divisione Nazionale Antimafia per coordinare meglio le indagini e venne estesa la legislazione sui pentiti e sulle intercettazioni”. Una tensione verso il contrasto che è sembrata esaurirsi secondo il Procuratore nel momento in cui “le indagini iniziarono a toccare il legame con la politica”.
Era l’epoca del processo Andreotti. Dopo aver attraversato le due stagioni del contrasto al terrorismo interno in Italia e della mafia e dopo aver ricoperto tra il 1998 e il 2002 la carica di componente eletto del Csm, nel 2003 Spataro ritorna alla Procura di Milano, questa volta per occuparsi di terrorismo internazionale. Ma l’atteggiamento dell’opinione pubblica verso la magistratura sembra essere cambiato:“Se negli anni di Piombo eravamo accusati come magistrati di essere poco rispettosi della democrazia, negli anni del terrorismo internazionale ci hanno sempre rinfacciato il fatto che le esigenze di sicurezza e di contrasto potevano comportare il fatto che il codice potesse venir messo da parte”.
Una sensazione che era diffusa anche tra i governi degli stati più importanti al mondo, a partire dagli Stati Uniti fino all’Italia. Basta pensare che in una conferenza stampa del 2005 in merito al caso Abu Omar, l’allora Primo Ministro Silvio Berlusconi si dichiarava incapace di comprendere come nell’inchiesta si potesse pensare di sconfiggere il terrorismo rimanendo all’interno dell’applicazione del codice. Una credenza che si è tradotta nel corso degli anni in numerosi provvedimenti speciali come quelli attuati in Gran Bretagna dove il fermo per terrorismo può durare fino a 28 giorni e in Francia dove per 4 giorni la polizia può interrogare il sospetto terrorista in assenza dell’avvocato difensore. Misure come queste indeboliscono lo stato democratico: “Noi dobbiamo avere la ferrea convinzione che il terrorismo si può sconfiggere. Non esiste la possibilità di sacrificare i diritti sull’altare della sicurezza”.