Era mio padre: Giovanni ricorda Amedeo Damiano

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Era la sera del 24 marzo del 1987. Amedeo Damiano stava tornando a casa dalla famiglia, dopo una giornata di lavoro. Nell’androne di casa lo attende un uomo distinto che estrae una pistola e ne nasce una colluttazione. Un altro uomo entra nell’androne della palazzina in centro a Saluzzo e spara. Amedeo Damiano viene raggiunto da 5 colpi e giace in una pozza di sangue. Dopo 100 giorni Amedeo Damiano, dirigente dell’USSL di Saluzzo, l’azienda ospedaliera della cittadina in provincia di Cuneo, muore.

Quella di Amedeo Damiano è una storia dimenticata, quella di una vittima innocente, di un padre, di un amministratore pubblico assassinato perché stava faceva bene il suo lavoro cercando di riportare la legalità e il rispetto delle regole all’interno dell’ospedale di Saluzzo.

Oggi, 21 Marzo, Giornata della Memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, il suo nome verrà insieme alle altre vittime innocenti.

Abbiamo chiesto al figlio Giovanni di ricordare il padre.

Parole preziose quelle scritte. Parole che ci ricordano l’importanza della memoria,  una memoria collettiva. Perché queste perdite sono lutti della nostra Democrazia e dobbiamo di continuare a impegnarci per chiedere verità e giustizia.

 


Mio padre Amedeo non è un ricordo “al singolare”, bensì è un ricordo “al plurale”.

Quando penso a lui sopraggiunge infatti nella mia mente un susseguirsi di fotogrammi, in un disordine che ormai conosco bene.

E lui, mio padre – che per me bambino era il mio eroe, il mio gigante buono – ha contorni molto nitidi, ben delineati nella mia mente.

Papà che ci aspetta davanti alle scuole con la cinquecento gialla, ma anche papà che torna dal lavoro vestito elegante; oppure papà in vacanza al mare che ci traghetta sul canottino verde; e ancora papà, con la mamma e noi piccoli, ai pranzi chiassosi delle feste.

Certe volte poi il ricordo di lui è fatto di dettagli: le sue mani grandi, o il suo sorriso di uomo buono. A volte basta davvero poco: un odore o un profumo famigliare per farlo comparire dal nulla.

Ma a volte arrivano immagini ben diverse: quelle di papà in un letto d’ospedale a Saluzzo, spaventato, umiliato, ferito a morte. O papà chiuso in una cassa portata a spalle verso la chiesa, in una città silenziosa e attonita.

A volte penso che di fronte a vicende tristi come questa, nella gestione di questi ricordi, si sia chiamati a scegliere tra due percorsi diversi. Il primo è quello di buttare via tutto, di cancellare, di radere completamente al suolo la memoria di chi non c’è più.

Oppure si può tenere stretto quest’insieme di immagini, convivendoci, facendole diventare in qualche modo amiche.

Io ho scelto la seconda strada e questo mi ha procurato gioia e dolore allo stesso tempo.

Un dolore intimo e profondissimo. Ma anche una gioia uguale e contraria, altrettanto intima e profondissima.

Dietro questi nomi, dietro i nomi di Bruno, di Carlo Alberto e da oggi anche di Amedeo come di tanti altri, ci sono infatti storie di dolore, di annientamento e di lutto, ma ci sono anche storie di vita, fatte di abbracci, di tenerezze, di mare, di musiche e di pranzi chiassosi.

Questa parte del ricordo di mio padre è per me – e forse un po’ per tutti noi oggi – il tesoro più prezioso, che stringo a me ogni notte.

Giovanni Damiano, figlio di Amedeo Damiano    

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