“Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali”. Con queste parole la Cassazione mette la parola fine al tentativo dalla Famiglia Catalano di opporsi alla misura di prevenzione patrimoniale della Procura di Torino. L’atto del tribunale aveva “aggredito” il patrimonio di Giuseppe Catalano, morto suicida dopo l’ottenimento dei domiciliari, che nell’ordinanza Minotauro era dipinto come il capo della ‘ndrangheta tra Torino e Provincia. E con questa sentenza uno degli strumenti normativi che più infastidisce il crimine organizzato, attraverso la confisca dei patrimoni illecitamente accumulati, conclude il suo percorso. Molti i beni le aziende, i conti corretti, le partecipazioni societarie sottratte ad esponenti ritenuti organici ai clan radicati in Piemonte.
Ma c’è un bene su tutti che crediamo abbia un valore immenso e non certo di natura economica. Parliamo del “Bar Italia”, luogo di ritrovo degli affiliati che è stato teatro di pranzi e cene elettorali tra esponenti politici in cerca di voti e il gotha della ‘ndgrangheta all’ombra della Mole. Più volte citato nelle pagine dell’operazione Minotauro, quell’attività commerciale è tornata a nuova vita, già nel corso della fase di sequestro.
Oggi, in via Veglia 59/a a Torino, sorge il “Bar Italia Libera”. Un bar che, all’apparenza, potrebbe sembrare uno dei tanti esercizi commerciali torinesi ed invece rappresenta il riscatto dello Stato contro la ‘ndrangheta. Lo Stato che si riapproria dei possedimenti mafiosi, restituendoli alla collettività. Ciò che si è riusciti a fare in quella via periferica di Torino è la traduzione nella realtà del testo della legge 109 del ’96. Grazie alla scommessa della Cooperativa Nanà, legata a Libera, quel luogo è completamente differente da come veniva descritto nelle pagine di Minotauro. E’ un luogo accogliente, dove poter bere un caffè, pranzare, chiacchierare o leggere. Gesti semplici, gesti antimafia. Rappresenta una vittoria, una vittoria per tutti.
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