La figura del whistleblower (o segnalante) ha cominciato da qualche anno a prendere piede in Italia, con faticosa lentezza, spesso osteggiata, ma ha cominciato.
Denominato in diversi modi, spesso negativi, come “spifferone” o “spione”, il whistleblower è in realtà uno dei poche, forse l’unica, figure per far venire alla luce determinati illeciti e sprechi nell’attività pubblica.
Quello che il whistleblower attivamente fa è segnalare un problema che spesso, proprio a causa della natura di reati come la corruzione, non potrebbe essere portato alla luce senza l’attività dei segnalanti.
La sua figura si rivela quindi essenziale per il mantenimento del buon funzionamento della pubblica amministrazione, al punto da rendere necessarie norme che garantiscano la tutela di questi individui.
In alcuni paesi, come gli Stati Uniti d’America, il lavoro dei whistleblower non è solo tutelato, ma addirittura incoraggiato da norme che permettono al segnalante di essere ricompensato con una percentuale del denaro che lo Stato riesce a recuperare grazie alla segnalazione.
In Italia non si è arrivati a tanto, ma la legge 179 del 30 novembre 2017 stabilisce comunque delle tutele per i whistleblower, sancendo che chi decide di diventarlo non possa subire ripercussioni lavorative, come per esempio demansionamenti, licenziamenti, venire trasferito o subire altre conseguenze organizzative con effetti negative sulla sua mansione lavorativa.
Oltre alla legge vi sono diversi enti che si pongono come obiettivo quello di seguire, informare e tutelare i whistleblower. Uno fra tutti Transparency International che mette a disposizione un portale dove chi desidera effettuare una segnalazione può trovarvi informazioni, oltre a essere seguito e dialogare con loro in maniera anonima.
Inoltre, è bene ricordare che l’identità del segnalante, proprio per la sua tutela e per evitare ripercussioni negative sulla sua vita lavorativa, può essere tenuta nascosta: anche in quest’ottica vengono sviluppati i vari appositi portali delle pubbliche amministrazioni.
Ma perché la figura del whistleblower è così importante e rilevante per il corretto funzionamento della pubblica amministrazione?
Immaginate un illecito, di quelli comunemente definiti “senza vittime”, come un atto di corruzione. Scoprire un’attività corruttiva è solitamente difficile: perché è un atto illegale che necessita dell’accordo di tutti i partecipanti, i quali traggono dei benefici dall’atto stesso e non hanno quindi interesse che un simile crimine venga alla luce. In una tale situazione a rimetterci sono poi le finanze pubbliche, la qualità delle opere realizzate, il funzionamento del mercato e della libera concorrenza, ma sono tutti effetti che emergono sul lungo periodo.
Stando così le cose, salvo una fortuita eventualità, risulta evidente come solo qualcuno sufficientemente vicino allo svolgimento del procedimento possa portarne alla luce le irregolarità. Ecco, quindi, che la presenza di dipendenti delle realtà pubbliche (o negli enti partecipati) che possano effettuare segnalazioni con la ragionevole certezza di essere tutelati dalle ripercussioni si rivela essenziale per il buon funzionamento della spesa pubblica.
Tuttavia, per garantire che il sistema di segnalazione funzioni, è necessario tutelare assolutamente l’anonimato del segnalante. In particolare quando la segnalazione riguarda soggetti che all’interno dell’amministrazione pubblica hanno il potere, diretto (possono esercitare decisioni che influenzano la vita lavorativa del segnalante) o indiretto (non possono decidere sulla vita lavorativa del segnalante, ma possono esercitare un’influenza su chi può farlo), di ostracizzare il segnalante con pratiche di mobbizzazione, trasferimenti, minacce o peggio.
Da qualche anno anche il privato ha cominciato a comprendere la necessità della figura del whistleblower e a interessarsi che nelle proprie strutture organizzative vi siano ruoli assimilabili ai responsabili dell’anticorruzione che possano ricevere e analizzare segnalazioni anonime da parte dei dipendenti. Complici di queste scelte sono stati anche istituti normativi come lo standard internazionale di gestione ISO 37001 e il decreto legislativo 231 del 2001 che ha sancito la responsabilità degli enti per alcuni reati commessi a loro vantaggio da figure interne.
Articolo di Filippo Franceschi – Equipe Common – Covid, gruppo di volontarie/i e studentesse/studenti del Master APC per l’elaborazione di strategie di monitoraggio civico sulla pandemia
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