Il poliziotto dentro la testa

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L’emendamento La Russa al pacchetto sicurezza, che prevede il pattugliamento da parte dei militari delle città, apre una considerazione di tipo culturale più che politico. I 3000 soldati messi a disposizione dei "comuni in emergenza" non rappresentano di fatto una militarizzazione del territorio né tantomeno oggi aprono spiragli così concreti verso una totalitarizzazione di stampo sudamericano. I 3.000 soldati, però rappresentano oggi la risposta demagogica (sono già oltre 150.000 le forze dell’ordine in Italia) ad un bisogno, quello della protezione, che sembra essere esploso negli ultimi anni all’interno della nostra società. Che questo bisogno sia indotto o meno dai media, da dio o da qualche loggia massonica ultra nazionalista, non è rilevante, ciò che conta è la caratura della risposta che la politica prova a dare. Se da un lato, infatti, il governo Berlusconi quater dimostra una certa coerenza che, seppur negativa, non stupisce, quell’area culturale così detta riformista sembra aver perso definitivamente le parole per formulare una vera controproposta. Morte le ideologie "comuniste" da quasi vent’anni, è rimasto in eredità un vuoto concettuale, incapace di riproporsi, come alternativa a quell’individualismo sfrenato che, nonostante abbia permesso le libertà commerciali, d’espressione et cetera, ha creato il poliziotto dentro la testa delle persone. Un gendarme figurato che incarna le paure, la solitudine e la sofferenza dell’uomo del XXI secolo.
Eppure basterebbe ripartire dalle cose semplici: l’educazione ad esempio, intesa come capacità di creare strutture in grado di formare cittadini. Anche Fredo Olivero ce lo ricordava: "un carabiniere in meno e un educatore in più". Come quando gli obiettori che avevano dato vita alla proto-comunità acmoide Iqbal andarono a presidiare e difendere non in armi il territorio di Napoli sconvolto dall’"emergenza camorra" nel ’97.
Investire sull’educazione e sulla "sottoveglianza" non sarebbe l’unica risposta al complesso problema dello sfarinarsi del legame sociale, ma sicuramente un buon inizio.
Oggi, però, l’alternativa è un’etichetta, prigioniera di un passato che, dissolvendosi, non ha lasciato punti di riferimento al futuro del riformismo italiano.

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