Referendum: “Perché Sì!”

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Dal 1995 un referendum abrogativo non raggiunge il quorum in Italia. L’ultimo fu quello dell’11 giugno del ‘95. Composto di ben 12 quesiti referendari relativi a numerose materie, da quella radiotelevisiva (concessioni, pubblicità, privatizzazione della Rai,) a quella sindacale (rappresentanze, contrattazione dei contratti, trattenute sui contributi), dal soggiorno cautelare per reati di mafia alla legge elettorale dei comuni, dall’autorizzazione al commercio agli orari degli esercizi commerciali. Di mezzo ce ne sono stati altri 6, con numerosi quesiti, ma nessuno ha più raggiunto il quorum. Quorum che è il risultato parziale da raggiungere nella pronunciazione popolare del prossimo 12 e 13 giugno: riuscire a portare la metà più uno dei cittadini aventi diritto al voto alle urne sarebbe una vittoria, per due ragioni. Il governo e la politica hanno tentato, in ogni modo, di scippargli il diritto inviolabile di espressione sui quesiti referendari. In aggiunta, né Rai e tantomeno Mediaset, hanno trasmesso “informazione” in merito alla questione. Il risultato è scontato: se la metà degli italiani andrà a votare, sarà perché è riuscita a usufruire di canali di informazioni alternativi, che vanno dai social network al tradizionale volantinaggio. Si potrà parlare di vittoria piena se, raggiunto il quorum, dalle urne i sì supereranno i no.



Ci sono motivi oggettivi per cui votare “Sì”, e quindi abrogare . Il primo quesito che ci sarà sottoposto riguarda l’affidamento ad aziende private della gestione dell’acqua, mentre il secondo espone le norme secondo le quali verrebbe deciso il prezzo dell’acqua. Ci sono diverse ragioni secondo cui affidare la gestione del servizio idrico ai privati non potrebbe altro che nuocere ai cittadini.

L’affidamento della gestione ai privati ha come scopo – secondo i promotori della liberalizzazione – una migliore distribuzione dell’acqua, una diminuzione degli sprechi per diminuire anche i costi, il tutto collocato all’interno di un sistema di sana e perfetta concorrenza. Innanzitutto non è superfluo evidenziare che, ogni impresa privata collocata all’interno di logiche di mercato perfettamente concorrenziali, ha come unico scopo il profitto. L’acqua, bene essenziale e fondamentale, diritto e non merce, non può essere affidata a chi ha come fine ultimo solo ed esclusivamente il lucro.


Per quanto riguarda il prezzo dell’acqua, ci è stato assicurato che non cambierà nulla. E’ molto difficile crederlo: questa legge consentirebbe al gestore privato di ottenere profitti garantiti sulla tariffa. Ai cittadini si potrà chiedere da un minimo del 7% a un massimo non definito di remunerazione del capitale investito e non è detto che questi soldi guadagnati verranno reinvestiti per migliorare la qualità del servizio. Oggi, in Italia, il 33% dell’acqua viene sprecata nella distribuzione e nel trasporto, il 30% degli italiani non è ancora servito da un depuratore, mentre il 15% non è servito da una rete fognaria e, come è noto, in alcune zone d’Italia, ad esempio la Sicilia – dove, tra le altre cose è stata sperimentata la gestione privata – l’acqua è ancora razionata, soprattutto nei mesi estivi. E’ come se avessimo in casa un tubo dell’acqua che perde: la soluzione, avendone i mezzi – e l’Italia li ha – sarebbe quella di ripararlo da soli, e non chiamare un idraulico per affidargli il lavoro e la gestione ad libitum del nostro tubo.

Nel mondo, i tre quarti del mercato dell’acqua sono in mano a pochi operatori: la RWE, la Veolia, la Suez Ondeo e la SAUR. La prima è tedesca, mentre le altre tre sono francesi. E’ noto che l’ingresso nel mercato internazionale non può che essere attuato in partnership con una di queste. In questa situazione di oligopolio, il concetto di leale ed equilibrata concorrenza sembra assai lontano. Quando sono poche le imprese ad operare in un certo tipo di mercato, i prezzi sono decisi spesso a tavolino e la legge della domanda e dell’offerta che dovrebbe stabilire il prezzo di equilibrio è poco considerata.


Per quel che riguarda il nucleare, giusto per essere inattaccabili, potremmo citare i pareri di due dei più autorevoli fisici del mondo: il premio nobel per la fisica Carlo Rubbia e il padre della Teoria del Caos Giorgio Parisi. Guarda caso entrambi italiani, e dunque conoscitori delle ‘dinamiche nazionali’. Il primo, alla domanda secca, cosa ne pensa del nucleare in Italia ha risposto non con una, con una serie di domande: “Si sa dove costruire gli impianti? Come smaltire le scorie? Si è consapevoli del fatto che per realizzare una centrale occorrono almeno dieci anni? Ci si rende conto che quattro o otto centrali sono come una rondine in primavera e non risolvono il problema, perché la Francia per esempio va avanti con più di cinquanta impianti? E che gli stessi francesi stanno rivedendo i loro programmi sulla tecnologia delle centrali Epr, tanto che si preferisce ristrutturare i reattori vecchi piuttosto che costruirne di nuovi? Se non c’è risposta a queste domande, diventa difficile anche solo discutere del nucleare italiano” (da Repubblica del 29/11/2009). A quel che dice Rubbia basta aggiungere che il modello delle centrali che l’Italia vorrebbe costruire è comprato direttamente dai francesi – che pensano di diminuirne o rivederne l’utilizzo.

Giorgio Parisi ha invece scritto di suo pugno (Il Manifesto del 28 aprile) che “se si sostituisse con il nucleare l’intera produzione energetica derivante da idrocarburi al tasso attuale di consumo avremmo uranio per tre anni!”, senza considerare il problema dello smaltimento delle scorie – irrisolto da quando esiste il nucleare – e quello dei rischi per la salute di coloro che lavorano nelle centrali o ci abitano vicino.


Infine, il quesito sul legittimo impedimento ci chiede se siamo d’accordo sul fatto che il Presidente del Consiglio e i suoi Ministri possano presentare la giustificazione di assenza in tribunale, qualora fossero imputati, in caso di concomitante esercizio di attività di Governo. Ma l’articolo 3 della nostra amata Costituzione recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge”. Senza se e senza ma.


Quattro quesiti, ai quali invitiamo a rispondere con 4 “sì”. I motivi abbiamo cercato di spiegarli. Ora possiamo affermare con convinzione: “Perché Sì!!!”.




Leggi lo speciale sul referendum pubblicato su www.gruppoabele.org

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