Il radicamento visto da Novara

Condividi

Romentino, 20 gennaio 2010. Novara scopre le mafie nel proprio territorio. Così come Milano il 13 luglio 2010, Torino l’8 giugno 2011 e Alessandria il 21. Date simboliche, che inchiodano la società civile di fronte alla nuda realtà, per molto tempo nascosta sotto il tappeto, come polvere ammucchiatasi silenziosamente. Nel tardo pomeriggio di quel 20 gennaio, l’imprenditore Ettore Marcoli, 35 anni, venne ucciso a colpi di lupara nel suo ufficio. Dalle indagini emersero interessi mafiosi (in ordine al traffico illecito di rifiuti) nella sua come in altre cave della zona, in vista dell’Expo 2015. Da anni si susseguono segnali, “reati-spia”, che lasciano intuire l’intraprendenza mafiosa in una zona strategica come Novara e Valdossola, crocevia d’affari sulle direttici strategiche Milano-Torino e Italia-Svizzera.

L’Osservatorio provinciale del coordinamento di Libera Novara ha raccolto in un volume dal titolo “Mafie al nord: il radicamento visto da Novara” (ed. Interlinea; a cura di Domenico Rossi e con prefazione di Nando dalla Chiesa; 190 pagg.) una serie di contributi (datati 2007 – 2012), da cui emerge il quadro chiaro e inquietante della colonizzazione discreta e massiccia attuata dalle cosche siciliane e calabresi, sovente in collaborazione con quelle straniere (albanese, rumena, russa, cinese), seguendo la scia di episodi di storia recente accaduti in Piemonte e Lombardia. Traffici di droga, sfruttamento della prostituzione, usura, racket, gioco d’azzardo, sequestri di persona, omicidi e intimidazioni, influenza diretta e indiretta delle amministrazioni locali, monopolio di settori strategici quali edilizia e appalti pubblici le attività di riferimento. Oggi, negli ambienti più sensibili, si inizia a parlare diffusamente del fenomeno, alla luce di inchieste massicce e complesse (Crimine – Infinito, Minotauro e Maglio), seppur da anni altre operazioni “minori” tentassero di lanciare allarmi forti e chiari.

L’intervento di Anna Canepa (DNA), a partire dai fascicoli delle indagini, delinea con chiarezza gli elementi di relativa novità emergenti dal radicamento delle cosche nel nord Italia, sviluppati più specificamente negli articoli successivi da Lorenzo Frigerio (giornalista e referente locale di Libera) per quanto attiene la Lombardia, da Marco Nebiolo per Torino e basso Piemonte e da Giulia Rodari per il Verbano-Cusio-Ossola. C’è spazio anche per un’analisi della tratta di esseri umani in provincia di Novara a cura di Caramore (sostituto procuratore di Novara) e per un riepilogo della situazione dei beni confiscati, nonché dello stato di riutilizzo, curato da Francesca Rispoli e Francesca Rubino dell’Osservatorio regionale. In appendice, viene ripubblicato un testo risalente al 2007 – completato con le ultime vicende grazie al lavoro dell’Osservatorio di Novara -, in cui venivano tracciati i primi, inequivocabili segnali della presenza mafiosa nel Piemonte nordorientale.

I caratteri del radicamento mafioso al nord si possono riassumere così:

1)      Smentita del pregiudizio diffuso, secondo cui la cultura civica del nord fosse immune da fenomeni d’illegalità: le mafie possono e hanno saputo radicarsi anche in contesti segnati da forte senso civico, costruendo corridoi silenziosi e paralleli. Le origini di tale radicamento sono molteplici: dal soggiorno obbligato dei boss detenuti, inviati lontano dalle regioni di origine, alla copertura offerta dall’immigrazione dal sud Italia, alle possibilità offerte dai lavori per grandi opere nel settore dei trasporti, alla presenza di un supercarcere a Novara (cfr. relazione Polizia Silup 2002).

2)      Modalità d’azione caratterizzate da violenza marginale (o sommersa, fatta di gesti poco eclatanti e visibili) e perlopiù da “forme di accordo e collaborazione con settori della politica, dell’imprenditoria e della pubblica amministrazione”, modalità che si sono rivelate, in questo contesto, di maggiore efficacia rispetto a quelle tradizionali, e che fanno parlare gli esperti di strategia del “mimetismo” e dell’ “occultamento”.

3)      Movimenti nell’economia: in presenza di un contesto dinamico, la possibilità di occultare e riciclare capitali risulta favorita; le mafie dunque tendono sempre più “ad occuparsi di economia legale con sistemi illegali, modulando diversamente atteggiamenti e condotte rispetto alla regione d’origine”; si parla anche di “criminalizzazione dell’economia”, poiché vengono impiegati e trasformati enormi quantità di capitali di provenienza illecita, condizionando, grazie ad un’impareggiabile disponibilità di liquidità, la concorrenza. Senza abbandonare le attività tradizionali, quali usura, estorsioni, traffico di stupefacenti ed armi, le mafie hanno puntato in particolare su edilizia pubblica e privata, con appalti e subappalti, movimento terra, gestione di cave e smaltimento di rifiuti.

4)      Modalità di espansione: occupazione militare e capillare del territorio “attraverso la pratica dell’avvicinamento e assoggettamento (spesso cosciente e consenziente) di soggetti” legati da interessi comuni a quelli dei mafiosi (economici e politici); collegamento ma discreta indipendenza dalla casa madre, con la riproduzione delle strutture organizzative classiche (‘ndrine, locali…) insieme alla capacità di adattamento alle nuove esigenze.

5)      Rapporti con la politica: utilizzo di consistenti pacchetti di voti in occasione delle consultazioni elettorali per spostare il consenso ed influenzarne gli esiti. I boss si rendono disponibili a trattare, in campagna elettorale ma anche successivamente, con i candidati interessati a beneficiare di tali voti; collocamento di soggetti collusi all’interno dell’amministrazione condizionare le decisioni e gli appalti. A tal proposito, oltre a ricordare lo scioglimento per mafia del comune di Bardonecchia, avvenuto nel 1995, va ripercorsi brevemente il caso di Domodossola. Nel 1993 (con indagini partite nel 1991), nell’ambito dell’operazione Betulla, alcuni membri dell’amministrazione comunale furono indagati per associazione mafiosa e accusati di subire il condizionamento della criminalità organizzata calabrese. Pare che a Domodossola la ‘ndrangheta controllasse 4000 voti su 17000 abitanti. Il consiglio comunale, prima che fosse emesso il decreto di scioglimento, decise di dimettersi con voto unanime.

Insomma, i fatti da conoscere per capire meglio come la criminalità organizzata di stampo mafioso si sia radicata in questa fetta di penisola, sono tanti. Vale la pena dunque utilizzare come strumento di formazione questo prezioso volume.

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *