La criminalità ambientale è una triste realtà d’oggi, ma anche estremamente redditizia per le mafie. Chi studia questi fenomeni lancia l’allarme da anni. Legambiente, in questo mese, sta presentando in giro per l’Italia, il rapporto 2009 sulle ecomafie. Roba da strabuzzare gli occhi, in primis per il giro d’affari: 20,5 miliardi di euro l’anno! E le ramificazioni più impensabili: si va dai combattimenti clandestini e corse truccate di animali, all’importazione clandestina di specie protette (pesci tropicali dall’Amazzonia), alle sofisticazioni alimentari, oltre che i “classici” come l’affaire rifiuti (non stupisca che nelle intercettazioni telefoniche i camorristi definiscono la monnezza come oro!) e il cosiddetto “ciclo del cemento”. Quest’ultimo poi, particolarmente attuale al nord e particolarmente a rischio di infiltrarsi nella ricostruzione abruzzese. Un quadro fosco, in cui il Piemonte gioca la sua parte non indifferente: si registrano reati di ecomafie in provincia di Torino e nell’astigiano, olte che in altri comuni della Regione. Ennesima dimostrazione, qualora se ne sentisse ancora il bisogno, della natura globalizzata e imprenditiva delle mafie, il cui contrasto non si può giocare solo con le armi tradizionali, ma attraverso strumenti preventivi e offensivi sempre più affinati.
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