La trattativa tra mafia e Stato

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Il dramma continua, a puntate, come nei gialli dell’estate. Le dichiarazioni di Massimo Ciancimino (figlio di “don” Vito, ex sindaco di Palermo, condannato per mafia), in questi giorni, sono pura nitroglicerina. Ciancimino tira in ballo, dopo che già Gaspare Spatuzza (altro collaboratore di giustizia) al processo Dell’Utri aveva fatto lo stesso, la trattativa tra Cosa Nostra e un pezzo dello Stato, nella buia stagione del dopo stragi. Ieri ha dichiarato che Forza Italia fu il frutto partitico di questa trattativa. Dell’Utri, ancora una volta citato, ha promesso querele; Alfano ha accusato Ciancimino di volere screditare il Governo; Berlusconi si è detto indignato; Miccichè ha detto che sono solo fandonie. In più è comparsa una lettera di Ciancimino senior, per Silvio Berlusconi, allora presidente del Consiglio, non si sa se mai recapitata.

Il punto, forse, è un altro. La questione della trattativa, del celebre papello, è l’emblema del nostro passato recente più oscuro. Andare a indagare in quella direzione, vuol dire affondare le mani nel cuore di tenebra italiano, degli anni ’90. Vuol dire cercare di aprire gli armadi della vergogna, ancora girati contro il muro, zeppi di scheletri. Vuol dire riuscire a fare, quello che Falcone non potè: arrivare al terzo livello, le connessioni mafia-politica, quelle che Buscetta si rifiutava di rivelare, perchè -diceva- non c’erano le condizioni politiche.

Le dichiarazioni di Ciancimino sono tutte da vagliare e nessuno ha intenzione di prenderle per oro colato. Sono, però, l’occasione per fare i conti con un pezzo del nostro inquietante passato. Anche per fare giustizia e ricercare la verità: le dobbiamo a chi è morto, ma anche a chi è ancora vivo e ancora lotta. Vedremo come andrà finire, per adesso facciamo il tifo per la giustizia, come sempre, purchè si vada fino in fondo, senza omissioni o reticenze.

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