Torino, storie di bische e riciclaggio

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Storie diverse. Esiti opposti. Nel mezzo un minimo comune denominatore: la ‘ndrangheta a Torino, città che da tempo conosce il potere della criminalità organizzata.

Storia di bische, come quella che ha coinvolto, grazie all’operazione dello Sco denominata “Gioco Duro“, personaggi di spicco del mondo criminale, come i fratelli Crea e Giuseppe Belfiore. Nomi che pronunciati in questa regione evocano fatti di sangue, narcotraffico, riciclaggio. Giuseppe Belfiore è infatti il fratello di Domenico e Salvatore, esponenti di primo piano della ‘ndrangheta torinese. “Mimmo” è all’ergastolo per essere il mandante dell’omicidio del procuratore Bruno Caccia, mentre “Sasà” è in cella al 41bis per narcotraffico.


“Beppe”, invece, da venerdì è un uomo libero a tutti gli effetti. Considerato dall’accusa a capo di un sodalizio criminale in grado di gestire in modo monopolistico il giro delle bische torinesi, con l’aggravante dell’associazione mafiosa, insieme ai Fratelli Crea e a personaggi minori come Samà e Genovese, è stato riconosciuto colpevole solamente di aver aperto qualche sala da gioco. Tutto qui. Bocciato dalla Corte d’appello il quadro accusatorio del Pm Dodero: gli indiziati hanno agito in modo autonomo, nessuna regia e quindi nessuna associazione a delinquere, né semplice né con l’aggravante del 416bis. Nemmeno i casi di estorsione, riconosciuti in primo grado a luglio, hanno trovato conferma nel verdetto di secondo grado. Due anni di intercettazioni e indagini sono finite – a parte il reato legato all’apertura di bische clandestine – in un nulla di fatto. Ma a leggerle quelle intercettazioni, a seguire la dinamica delle udienze, la capacità intimidatoria di quel manipolo di persone è ben delineata. Non trova riscontro nel verdetto della corte, questo è un dato fondamentale, dal quale non si può prescindere.

Una considerazione è però necessaria. Al Nord è sempre difficile trovare il legame che testimonia l’assoggettamento generato dall’attività criminale. Eppure, in fase dibattimentale come nelle intercettazioni, la paura si fa viva nei volti e nelle parole di quanti hanno avuto a che fare con Crea, Belfiore, Samà e Genovese. A volte bastava solo il nome per lanciare un chiaro messaggio. Ma la dinamica processuale è tutt’altra faccenda. Ora sono tutti liberi, responsabili di aver “apparecchiato” qualche tavolo per giocare a poker o a dadi.


Per un’inchiesta che va al macero, un’altra, sempre a Torino, procede a pieno ritmo. Si chiama “Pioneer” è ha smascherato una fitta rete di riciclaggio di denaro legato al narcotraffico. Ancora ‘ndrangheta che fa affari con i “colletti bianchi”. L’operazione risale all’ottobre scorso e ha fatto emergere un nuovo organigramma delle cosche torinesi con a capo Francesco Cardillo e Ilario d’Agostino, originari di Reggio Calabria capaci di riciclare il denaro dello spaccio frutto della cosca di Antonio Spagnolo. L’accusa per gli indagati è di associazione mafiosa finalizzata al riciclaggio aggravato. La Dia torinese insiste sulla capacità della mafia di trasformarsi in impresa, riciclandosi nell’economia legale tramite la faccia pulita di insospettabili professionisti. Come Giuseppe Pontoniero ritenuto il cassiere della ‘ndrangheta torinese. Commercialista, a lui Cardillo e d’Agostino hanno intestato i beni della famiglia. Costituita nel 95, la Ediltava srl, azienda riconducibile agli uomini di Spagnolo – alla quale gravitavano altre società – è stata intestata al commercialista che, grazie una falsa perizia, ha sborsato 30mila euro per una società con possedimenti stimabili in oltre 4 milioni di euro. Apparentemente tutto legale, l’attività, secondo il quadro accusatorio, operava riciclando denaro della ‘ndrina sul mercato edile, tramite diverse società collegate. I proventi della droga venivano trasformati in costruzioni e un enorme giro di false fatturazioni permetteva all’attività immobiliare di evadere le tasse. Non solo, l’attività della cosca si sarebbe spinta anche nel giro degli appalti pubblici della Tav, opere collegate alle Olimpiadi del 2006 ed alla costruzione del porto di Imperia.

Dopo l’operazione della Dia, la scorsa settimana, l’Agenzia delle Entrate è andata all’assalto del regno costituito da Cardillo e D’Agostino. Un impero al quale sono stati recuperati 10 milioni di euro di tassazione alla quale è stata aggiunta una multa di circa 2,5 milioni. Alla somma mometaria, sono stati sequestrati 11 fabbricati di proprietà di una delle società orbitanti attorno al sistema Cardillo-D’Agostino.






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