Processo Lea Garofalo, Terza Udienza. Le ricostruzioni dei testimoni

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di Giulia Rodari

L’aula è cambiata, è più grande, per la sicurezza della figlia di Lea Garofalo, Denise Cosco, 19 anni. E’ il giorno della sua testimonianza, deve tutelare la sua nuova identità. E deve essere protetta; dagli occhi, dai gesti e dalle parole del padre Carlo Cosco, degli altri imputati e dei parenti, alcuni giovani cugini, che sono sul fondo dell’aula. Per la prima volta sono presenti più giornalisti e ci sono dei ragazzi seduti ai banchi.

Dura oltre due ore la testimonianza di Vincenza Rando, ex avvocatessa di Lea Garofalo e attuale di Denise. Il suo interrogatorio è necessario alla ricostruzione dei pochi eventi che hanno condiviso. Lea si rivolse telefonicamente a Libera nel 2008, successivamente Enza la incontrò tre volte nel 2009: a febbraio a Roma, a maggio e il 20 novembre 2009 a Firenze. Fin dal primo incontro le parlò di avere una figlia piccola a cui avrebbe voluto regalare una vita migliore, “il suo sogno era di andare lontano, in Australia, per rifarsi una vita, lei e la figlia” e, ancora, “devo vivere per lei”. L’avvocatessa le vide entrambe il giorno del loro ultimo incontro. Stessa data in cui Lea, molto agitata, le disse di doverle confidare una cosa, il già denunciato attentato di Campobasso; stessa data in cui si diressero a Milano, da Carlo Cosco, per prendere accordi sul futuro ed Enza da lì ebbe solo contatti telefonici. Gli avvocati della difesa procedono poi all’esame della figura di Lea Garofalo e configurano le domande come se volessero arrivare a una specifica versione dei fatti, indagando: uso di stupefacenti, rapporti con la famiglia d’origine, amicizie e frequentazioni, eventuale volontà di rifarsi una vita da sola e presenza di gioielli, nello specifico il 20 novembre. Nessuna risposta fornisce elementi per far presumere la possibilità di una fuga volontaria.

Nel pomeriggio in aula compare un paravento, si sente aprire la porta e restano in vista solo i piedi. A seduta non ancora iniziata, Denise Cosco entra in aula da testimone di giustizia. Voce fiera e decisa; fare lucido e schietto. Condotta dalle domande del Pm Marcello Tatangelo ripercorre minuziosamente le vicende fin dai suoi più lontani ricordi, dall’arresto del padre al periodo dopo la sparizione di sua mamma.

I motivi che spinsero Lea ad iniziare una nuova vita, di cui l’ultimo l’incendio della macchina sotto casa in Calabria, lontana da alcune persone. In fuga iniziarono così a girare diverse città in case, alberghi e conventi. “Ascoli Piceno, Fabiano, Campobasso, Udine, Firenze, Boiano”, dette tutte d’un fiato, aggiungendo che “ogni volta che cambiavo casa dovevo ricominciare tutto da capo, dalla scuola allo sport”. A 11 anni fu già nel programma di protezione, per timore di Lea al punto che “non dormiva la notte e teneva un coltello sotto il cuscino”. L’origine di tanta paura furono le dichiarazioni fatte all’autorità giudiziaria, afferma decisa Denise.

Continua, spiegando le motivazioni dell’uscita dal programma di protezione: “non poteva essere autonoma; per lei, il lavoro è ciò che più da dignità” e il suo sogno era ridare una vita ad entrambe all’estero. E, poi, “quello che aveva detto non era servito a nulla”. Tramite Marisa, sorella di Lea, chiesero dunque di poter tornare a vivere in Calabria, con una sorta di tregua: silenzio per pace.

Racconta del 5 maggio 2009, giorno dell’attentato subito da Lea a Campobasso. “Mi sono alzata, ho visto questa figura che avvolgeva mia mamma. Carnagione scura, giubbino simile a quello di mio padre”; pensò fosse lui. Prima che sparisse Denise gli chiese chi lo mandasse ma non ottenne risposta. In un attimo di silenzio, mostratele le foto per il riconoscimento dell’aggressore, indica senza dubbi la numero 7, corrispondente a Massimo Sabatino. Nonostante la convinzione che il mandante fosse il padre, tornarono in Calabria e Denise continuò a frequentarlo perché “se sai che una persona ti vuole uccidere – spiega con fare schietto – ti lasci uccidere o gli sei amica. E’ palese”.

Nelle gabbie si sente qualche movimento annoiato, sbuffo indispettito e chiacchiera con i parenti lontani; alcuni bisbigli insinuano la non veridicità delle dichiarazioni.

Gli ultimi cinque giorni, iniziati con quel viaggio verso Firenze prolungato fino a Milano. Giornate di giri per la città, pasti al ristorante e acquisti per negozi, insieme.

Ricostruisce il 24 novembre, l’ultimo giorno. In giornata Carlo andò a prenderle in hotel, proponendo a Denise di passare la serata con i parenti paterni fino alla partenza del treno, prevista per le 23.30. Lea scese in centro con la promessa che l’ex compagno l’avrebbe raggiunta più tardi. Verso le 20 la ragazza provò a chiamarla ma, pur trovando il telefono spento, non si preoccupò finché il padre, arrivato a prenderla, diede due versioni diverse sulla locazione della mamma. Secondo la prima avrebbe deciso di aspettare in una via vicina per non entrare nel cortile, poi raccontò come fosse scappata dopo una lite. “E ho capito” tanto che nonostante il padre si dimostrasse sconvolto “io non gli ho creduto neanche per un nanosecondo”. Disperatamente voleva però convincersi che non fosse così e continuò a cercarla telefonicamente, finché non tornarono a casa dello zio Giuseppe Cosco, non presente, per dormire. “Quindi lei ha capito ma ha fatto finta di nulla? Non l’ha detto nemmeno a suo padre?” domanda il Pm ottenendo una risposta di dura scontatezza “Ho fatto finta di niente, come per l’anno successivo. Io con queste persone ho mangiato, sono andata al mare…Dovevo fare la sua stessa fine, non lo so!”.

Lamenti disturbano il proseguimento ma Denise è protetta, dal paravento e dalle tante persone presenti, in aula e non, solo per darle forza.

“Andavamo ai concerti e mi divertivo. Ci scambiavamo i vestiti. Era un mio punto di riferimento e anche una mia amica con cui mi confidavo”, restano nell’aria le morbide parole con cui Denise descrive il rapporto con la mamma Lea.

One thought on “Processo Lea Garofalo, Terza Udienza. Le ricostruzioni dei testimoni

  1. ELENA Reply

    il resposabile della morte di lea garofalo a un nome on.mantovano.. tanti testimoni di giustizia sono abbandonati..

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