Mafie al nord: riflessioni e analisi sul codice antimafia

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Le sessioni di studio pomeridiane del seminario “Mafie al Nord” sono state introdotte da alcuni spunti di riflessione e analisi offerti in plenaria da esperti di diversi settori. Il magistrato Piergiorgio Morosini ha esordito con il suo intervento ricordando la dichiarazione del Governo quando presentò il codice antimafia come frutto “dell’antimafia dei fatti e non delle chiacchiere”. Un’uscita che Morosini apostrofa come una «strategia comunicativa fuorviante. In realtà su queste tematiche la politica è miope e ha perso moltissime occasioni: per esempio la rettifica della convezione di Strasburgo del 1999 per la quale Libera ha raccolto un milione e 200 mila firme. È necessario introdurre – ha concluso Morosini – il reato di autoriciclaggio ed estendere il test d’integrità anche al reato di corruzione, considerato che fino a questo momento il suo utilizzo è contemplato solo per i reati di clandestinità e di usura».??Il procuratore della Repubblica di Lanciano Francesco Menditto ha posto l’accento sull’inadeguatezza del codice antimafia. «Avevamo chiesto a gran voce – ha spiegato – un codice che disciplinasse a 360 gradi la materia, ma questo che adesso ci ritroviamo non è ciò che avevamo richiesto. In realtà il lavoro era già stato preparato dalla precedente commissione parlamentare antimafia presieduta da Francesco Forgione, la maggioranza attuale ha solo tirato fuori dal cassetto quel lavoro ma ne ha data un’interpretazione sbagliata, ovviamente a suo appannaggio. Fondamentale è rivedere la sezione che disciplina la vendita delle quote societarie».??Nel presentare i campi d’azione di InfoCamere, il direttore generale Valerio Zappalà ha sottolineato l’importanza «che i dati in nostro possesso siano sempre di più messi in rete: questo strumento può sicuramente essere un ausilio prezioso soprattutto per le indagini delle forze dell’ordine e della magistratura, anche se la conditio sine qua non dovrebbe essere che i supporti informatici siano affiancati da competenze specifiche del settore».?Sull’importanza del sapere e delle conoscenze si è soffermata anche Alessandra Dino dell’università di Palermo, asserendo che «per contrastare in maniera efficace le mafie bisogna partire da una seria riflessione del fenomeno, con cognizione di causa, senza improvvisazioni. Bisogna dunque che il codice antimafia valuti la trasversalità delle mafie che non sono solo una piaga criminale, ma questo non basta. Sarebbe auspicabile che le esperienze formative fossero messe in rete, creando una sorta di banca dati condivisa e condivisibile: bisognerebbe dunque passare dalla teoria alla pratica, ipotizzando anche la costituzione di un osservatorio capace di intervenire sulle questioni più attuali».??Ivan Cicconi, direttore di Itaca, ha ricordato l’esistenza di alcune norme che disciplinerebbero in maniera più trasparente la concessione di appalti pubblici nella pubblica amministrazione. Una su tutte: l’imprenditore che ha vinto un appalto deve trasmettere le proprie generalità, l’oggetto della concessione e l’importo dei lavori al responsabile del progetto, «ma questa norma è assolutamente disattesa da tutti, senza distinzione di regione italiana. Nessun imprenditore si attiene alla legge e nessun responsabile unico di progetto lo obbliga a farlo».??Il problema del recepimento delle norme europee accomuna molti Stati, tra i quali vi è anche l’Italia. «Bisogna che il codice antimafia – ha concluso Alberto Perduca, procuratore aggiunto della Repubblica di Torino – contempli la ratifica di alcune norme europee, dalla convenzione di Strasburgo al programma di Stoccolma del 2010 che si era posto tra le priorità il contrasto, per esempio, al traffico di esseri umani, di sostanze stupefacenti, oltre al debellare la pedopornografia e le criminalità economica ed informatica».

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