Le prove non sono sufficienti. Albachiara tramonta dietro una serie di assoluzioni. Il quadro indiziario portato dalla Procura, partito dall’inchiesta “Albachiara”, non è stato ritenuto sufficiente dal Giudice per testimoniare l’associazione mafiosa.
L’inchiesta voleva dimostrare l’esistenza di una locale nel basso Piemonte, tra Alessandria, Cuneo ed Asti, e la conseguente forza di intimidazione ed assoggettamento tipici di queste organizzazioni.
Per Massimo Scarabello, giudice del Procedimento, gli imputati non possono essere condannati perché il 416/bis non è provato.
Il verdetto pronunciato ieri condanna solo Bruno Pronestì, ma per possesso abusivo di armi da fuoco, ad una pena minima: un anno e 6 mesi. Considerato dai Pm il capo locale, persona che aveva ammesso la partecipazione alla ‘ndrangheta, che nelle carte della procura è stato intercettato mentre parlava di doti, summit, locali non sconterà nemmeno un giorno di carcere.
Tra tutte le assoluzioni spicca quella di Giuseppe Caridi, consigliere comunale PDL di Alessandria, presidente della commissione Territorio, accusato di 416/bis perché ha partecipato ad un summit nel quale sarebbe stato iniziato al grado di picciotto. Proprio sul suo ruolo i Pm hanno puntato per testimoniare l’esistenza dell’intimidazione, presentando una memoria la scorsa settimana.
Nel documento della pubblica accusa la ricostruzione di una lite tra Caridi e un Consigliere Comunale dell’Idv, il quale non denunciò l’accaduto consigliato da un collega di partito “per non mettersi nei guai”.
La sentenza segue alle scarcerazioni di giugno degli imputati ai quali non era stata rinnovata la pena preventiva.
L’insufficienza di prove decretata dal Giudice Scarabello non ferma l’azione della Procura, che pur rispettando la sentenza, precisa con una nota del Procuratore Capo di Torino, Gian Carlo Caselli, le intenzioni future: “Lette le motivazioni, la Procura di Torino farà certamente ricorso. Siamo infatti serenamente convinti della fondatezza dell’accusa. Il procedimento denominato “Albachiara” ha dimostrato ampiamente ed univocamente l’esistenza della ‘ndrangheta nel Basso Piemonte e le relative responsabilità dei singoli imputati. Le prove raccolte si basano su imponenti riscontri nei fatti e sulle dichiarazioni rese da associati al sodalizio criminoso. Una copiosa giurisprudenza della Corte di cassazione avvalora le valutazioni dell’accusa”.