Dell'Utri condannato a 7 anni. Ora le dimissioni

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Marcello Dell’Utri non era presente in aula quando la corte ha letto il dispositivo di condanna: sette anni contro gli 11 richiesti dalla pubblica accusa, una riduzione rispetto ai 9 anni del primo grado. La corte d’appello di Palermo ha confermato il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, ma ha assolto Dell’Utri per “ le condotte successive al 1992” perché il fatto non sussiste. Viene così smontato dalla corte palermitana l’impianto accusatorio che vedeva l’ideologo di Forza Italia nella veste di cerniera tra la politica e la mafia siciliana, vengono smentiti i pentiti Gaspare Spatuzza e Nino Giuffrè, si inabissa – almeno in questo procedimento giudiziario – la speranza di scoperchiare i legami tra Cosa nostra e forze politiche all’epoca delle stragi. Rimane però un dato chiarissimo: Marcello Dell’Utri ha collaborato con la mafia fino al 1992, quando ancora non era uomo di Stato ma dirigente di spicco dell’impero, immobiliare prima e televisivo poi, di Silvio Berlusconi.


La conferma degli stretti legami con esponenti di spicco della malavita palermitana arriva dai rapporti intrattenuti, sin dal 1974, con Vittorio Mangano: reggente della famiglia di Porta Nuova assunto come stalliere da Silvio Berlusconi nella tenuta di Arcore, grazie al contributo del senatore.


Marcello Dell’Utri è stato condannato in nome del Popolo Italiano a 7 anni per i legami avuti con la mafia. Lo stesso popolo che vorrebbe vedere l’onorevole rassegnare le dimissioni da Senatore della Repubblica. Un atto di decenza istituzionale, ma forse è chiedere troppo.

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