Mauro Rostagno: un passo verso un'altra storia. Nel nome del Popolo Italiano

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Non si può immaginare il valore della quotidianità quando si devono mettere in fila, uno dopo l’altro, 9.116 giorni conoscendo il protagonista, l’inizio, la fine ma non le comparse di una storia nella quale si mischiano parole e pallottole, coraggio a vigliaccheria, la sacralità della vita alla barbarie generatrice di morte. Oltre 22 anni sono trascorsi dalla sera del 26 settembre del 1988, quando a Valderice, Trapani, la corsa appassionata alla vita di Mauro Rostagno venne arrestata dal piombo. Piombo anonimo del quale i familiari non ne conoscono la matrice. Dal 18 novembre, Vito Mazzara e Vincenzo Virga, esponenti della malavita trapanese, sono a giudizio a Palermo come mandante ed esecutore materiale dell’efferato delitto. Per comprendere il valore del procedimento giudiziario in corso nel capoluogo siciliano abbiamo posto alcune domande a Ferdinando Brizzi, legale di Chicca Roveri. L’avvocato torinese, con la collaborazione di Beatrice Reinaudo, avvocato di Maddalena Rostagno, sta affrontando un processo atteso da anni, osteggiato da qualcuno e desiderato da molti. Un iter giudiziario per scrivere una nuova pagina di questa storia, dove le comparse, con l’ambizione da protagonisti, vengano finalmente individuate. L’ultima e “Nel nome del Popolo italiano”.


A 22 anni dall’omicidio di Mauro Rostagno non esiste ancora una verità giudiziaria. Altre piste e inchieste, prima di questa, sono state istituite puntando su impianti accusatori che escludevano la matrice mafiosa del delitto. Risultato di carenze investigative o voluti depistaggi?


«Fin da subito, il capo della squadra mobile di Trapani, Rino Germanà, in una annotazione investigativa individuava con certezza la pista mafiosa. Fece una cosa molto semplice: esaminò tutta la vita di Mauro Rostagno scandagliando gli interessi che avrebbe potuto intaccare ed arrivò ad individuare la chiara matrice mafiosa del delitto. Sembrerebbe un’ovvietà, eppure altri fonti investigative, come alcuni organi dello Stato, puntarono su altre piste: l’omicidio tra amici, maturato all’interno della comunità Saman, e la pista politica orbitante attorno all’omicidio Calabresi. Così tutto andò in direzione opposta rispetto alla verità. Fino a quando incominciarono a parlare i collaboratori di giustizia, episodio che segnò il cambio del registro investigativo. Nel corso dell’udienza preliminare, i Pm Paci ed Ingroia hanno tenuto a precisare come la storia dell’omicidio Rostagno sia stata caratterizzata da ritardi degli apparati investigativi e da veri e propri depistaggi. Il caso delle cassette mancanti, che riprendevano sicuramente qualcosa di importante, manifesta l’esistenza di interessi estranei a quelli di Cosa Nostra. Si spera che il dibattimento sia in grado di far emergere tutte le deviazioni istituzionali e ristabilire la verità».


Oggi a giudizio per il delitto ci sono Virga e Mazzara, uomini d’onore di Cosa Nostra a Trapani. Quali sono gli indizi sui quali si basa l’impianto accusatorio sostenuto dai Pm Ingroia e Paci? E perché la mafia ha deciso di eliminare Mauro Rostagno?

«I Pm Ingroia e Paci, nel corso dell’udienza preliminare, hanno cominciato a mettere in evidenza come l’attività svolta da Mauro Rostagno, soprattutto in campo giornalistico, desse fastidio. E non poco. Si è fatto riferimento alle cassette video misteriosamente scomparse che, se diffuse, avrebbero potuto mettere nei guai seri molte persone. Le dichiarazioni di importanti collaboratori di giustizia di Cosa Nostra, come Giovanni Brusca e Angelo Siino ( il cosiddetto ministro dei lavori pubblici di Cosa Nostra, un uomo molto addentro alle dinamiche della consorteria mafiosa) e dei trapanesi delineano le motivazioni alla base del delitto, le modalità e gli obiettivi. Sinacori e Milazzo hanno chiarito quali erano i soggetti coinvolti. Dal racconto ne esce una sorta di competenza territoriale mafiosa, nella quale i rappresentanti trapanesi hanno interpretato ruoli da protagonista. I Pm si sono determinati in questo senso, oltre che per le testimonianze dei collaboratori di giustizia, anche per i risultati delle perizie balistiche effettuate dalla polizia scientifica, che marchiano l’arma utilizzata come di proprietà mafiosa, viste le impressionanti analogie con altri precedenti omicidi. Da esse si può dedurre che la mano che sparò il 26 settembre del 1998 dovrebbe essere quella di Vito Mazzara».



Sul ruolo di Cardella, socio di Mauro Rostagno, indagato per favoreggiamento e poi per concorso nel delitto, esistono, secondo i Pm, elementi di un certo spessore indiziario non sufficienti all’incriminazione. A cosa si riferiscono?

«Per quanto riguarda la posizione di Cardella vi è da dire che la Procura aveva iniziato a svolgere degli accertamenti, anche di carattere finanziario. Attraverso la richiesta di rogatorie internazionali hanno cercato di avere un quadro più nitido. Ma alle rogatorie non sono poi pervenute risposte. L’azione della procura era volta a comprendere fino in fondo gli interessi economici sottesi alla gestione della Comunità Saman, che in quegli anni non è stata certo cristallina, tanto che la stessa Chicca Roveri ha riportato delle condanne in quanto utilizzata come “prestanome”. Un’ altra ingiustizia che l’ha colpita, dal momento che, con altra gestione processuale, sarebbe stato forse possibile dimostrare la sua totale estraneità a certe condotte criminose. Per altro, per quelle condanne Chicca ha recentemente ottenuto la riabilitazione. Penso che non sia possibile spingersi oltre nel giudizio».


Nota dolente dell’udienza è stata l’assenza della società civile. Annunciamo la data della prossima udienza rimarcando l’importanza della presenza della cittadinanza nell’iter giudiziario.

«La data utile, nonché l’ultima, per costituirsi parte civile è il 2 febbraio del 2011, di fronte alla corte d’Assisi di Trapani. Il dottor Paci ha evidenziato la doverosità della costituzione di parte civile di tutti i soggetti aventi un interesse giuridicamente rilevante. Più sono i soggetti legittimati a prendere parte al percorso per ristabilire la verità, più è possibile arrivare ad una verità condivisa. Si pensi all’ente locale dove è avvenuto il fatto di sangue: Trapani. La città ha ricevuto moltissimo da Mauro Ristagno: può essere senz’altro ritenuto soggetto legittimato alla costituzione di parte civile nel procedimento, così come quelle associazioni come Ciao Mauro che tanto sostegno hanno fin qui dato alla celebrazione del processo.

Il pomeriggio stesso dell’udienza abbiamo partecipato ad una conferenza per intitolare una sala comunale alla memoria di Mauro Rostagno. Tra gli invitati, anche la vicepresidente dell’Ordine dei Giornalisti che ha annoverato Mauro rostagno tra i giornalisti vittime della mafia. Allora perché l’ordine non si costituisce parte civile per ribadire l’importanza dell’informazione in terre di mafia? E molti altri sarebbero i soggetti legittimati a farlo. Non è solo un atto formale, ma un gesto per supportare l’importante lavoro fatto dalla procura di Palermo e dalla Squadra Mobile di Trapani con il dr. Linares.

Da questa vicenda giudiziaria è possibile inoltre fare un ragionamento più ampio sui reali problemi della giustizia italiana. La possibilità di costituirti parte civile per Maddalena e Chicca è dovuta solo dall’impegno di persone che vogliono loro bene e non certo da garanzie statali. Accanto a Chicca nell’udienza c’è sempre stato un vecchio amico di Mauro come Giuseppe Barbera, docente universitario da sempre vicino alla famiglia. Un processo di questo tipo comporta delle spese ingentissime, vista la necessità di ripercorrere tutti i vent’anni di indagine e, alla luce di quella che si può ritenere la probabile strategia della difesa degli imputati di riproporre le vecchie piste investigative. Tutto questo si tradurrà in copiosissimi incartamenti processuali e relativi oneri. Chicca e Maddalena, nonostante non siano certo da considerarsi ricche, non rientrano nei canoni stabiliti per legge per ottenere il gratuito patrocinio. Loro hanno subito un dolore estremo dall’uccisione del compagno della vita e del padre e ora rischiano di essere lasciate alla loro “povertà” nell’ambito del processo. Noi faremo tutto ciò che è nelle nostre possibilità per portare avanti questo procedimento. Ma in uno Stato serio non risponde al senso di giustizia che la tutela penale delle vittime di mafia sia riconducibile, sempre e comunque, all’impegno di persone di buona volontà. Uno Stato civile, che si voglia definire tale, dovrebbe garantire il diritto delle persone offese di avere giustizia, senza guardare le etichette».