Chiusa l'inchiesta Minotauro: 184 a giudizio

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Il suo pentimento ha fornito elementi per comprendere l’organizzazione della ‘ndrangheta nella provincia di Torino. Dopo essere stato organico alla criminalità calabrese, ha deciso di pentirsi e collaborare con la magistratura. Un pentimento ritenuto credibile e sincero, tanto da arrivare ad accusarsi di reati per i quali non era stato nemmeno indagato. Rocco Varacalli ha deciso di uscire dal programma di protezione ed è notizia di oggi che su di lui pende l’accusa di furto di rame.
Con questa notizia, tutti – anche i molti nemici che ha – sanno dove si trova. Ha l’obbligo di dimora e dalle notizie in rete si capisce dove risiede: in Sardegna.

Ma c’è un elemento da non tralasciare per avere chiaro il quadro della situazione. La collaborazione di Rocco Varacalli è stato da stimolo per procura e inquirenti per avviare le indagini, ma i suoi racconti – da soli – non avrebbero permesso di raggiungere i risultati ottenuti. Il merito degli arresti sta nella conduzione delle indagini. Intercettazioni ambientali e telefoniche, pedinamenti, ricostruzione degli assetti societari e molto altro sono il vero valore dell’inchiesta Minotauro.
Sono proprio i numeri degli indagati finiti nelle maglie dell’operazione a dipingere questo scenario.

La conclusione ufficiale dell’operazione – scattata a giugno – si è avuta solo la scorsa settimana. Secondo la tesi della Procura il gruppo della ‘ndrangheta a Torino poteva far riferimento a 184 persone, tutte indagate. Dovranno rispondere di reati che vanno dall’usura al traffico di stupefacenti, dalla ricettazione al riciclaggio, dall’infiltrazione nei lavori pubblici al voto di scambio.
Per molti di loro pende l’accusa di 416/bis: associazione a delinquere di stampo mafioso.

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